giovedì 18 febbraio 2016

Bergoglio: Sfide E Speranze Globali.

Ieri Papa Francesco ha terminato il suo viaggio in Messico, celebrando Messa a Ciudad Juarez, davanti al muro che  separa l'America Latina dagli Stati Uniti D'America,
 il piu' lungo mai costruito dall'uomo dopo la grande muraglia cinese.
Migliaia di vite inghiottite sul confine più militarizzato nel Pianeta (insieme a quello che isola i territori palestinesi),
migliaia di vite spezzate (il termine femminicidio e' stato utilizzato per la prima volta proprio per quello che accade a Ciudad Juarez) dalle violenze dei narcos, delle pandillas (gang criminali), dai coyote (i passatori), ma anche dalle violenze delle autorita' e delle polizie corrotte.


La testimonianza evangelica di Papa Bergoglio (e di quella Chiesa che e', anche li', in prima linea nell'assistenza ai migranti, nelle opere sociali, nel seminare la speranza) davanti al muro che separa il Texas dal Messico, ha scosso profondamente il dibattito nell'America in piena campagna elettorale.
Il piu' importante quotidiano statunitense, il NYTimes, ha dedicato l'editoriale odierno alle parole ed alla testimonianza del Papa davanti ad una delle tante croci impiantate nella terra arida di Ciudad Juarez , diventata un memoriale  alle  migliaia di migranti morti nel tentativo di raggiungere gli States, invitando la politica ( quella repubblicana ) a non speculare e strumentalizzare con la paura, una questione di dimensioni bibliche, probabilmente antropologiche, qual'e' quella delle migrazioni di massa (anche verso l'Europa). 


Gli ultimi  attacchi di Donald Trump al Papa hanno sortito l' effetto opposto: rendere il fattore Francesco, nella corsa alla Casa Bianca, ancora piu' incisivo (la Chiesa Cattolica negli States e' molto forte, sia  per numero di fedeli, in continua crescita anche per l' ispanizzazione della societa', sia perche' rimane l'istituzione sociale, caritativa ed educativa piu' importante, piu' indispensabile,  anche piu' dello stato stesso).
 Sono  cattolici Jeb Bush e Marco Rubio (quest'ultimo con buone probabilita' di riuscire a vincere le primarie), entrambi in corsa per il partito repubblicano.  
Ma al di la' delle piccole o grandi baruffe politiche, quello che ha fatto ieri papa Francesco, celebrando messa al confine tra Stati Uniti e Messico, è un'atto politico globale: nella ricerca di nuovi paradigmi di sviluppo, il gesuita sfida apertamente quei sistemi sociali e politici che generano poverta', accaparrandosi ricchezze e risorse, lasciando le briciole alla stragrande maggioranza delle popolazioni, costrette ad emigrare o ad arruolarsi nei cartelli del narcotraffico, e sfida apertamente le stesse mafie, che  sa' bene essere funzionali a quel tipo di sistema economico, costruito su ingiustizie, sfruttamento, corruzioni, paradisi fiscali.

L'America Latina, in questa visione, e' un laboratorio enorme, anche perche' oggi la diseguaglianza è in aumento e l’austerità a causa della crisi rischia di peggiorare le cose.
Sfide globali del soldato Bergoglio,  il soggetto geopolitico (ma lo e' la Chiesa Cattolica tutta) piu' lungimirante ed attivo oggi sul Pianeta, che pone sempre al centro di ogni cambiamento 
la misericordia, l'amore di Dio, capace di cambiare i cuori, capace di cambiare le vicende umane, persino quelle del Mondo.

lunedì 15 febbraio 2016

Election Day Ad Harlem.

Malcom X Boulevard , cuore pulsante della New York nera, e’ un tripudio di suoni e colori.
Qui tutti sono pronti a festeggiare un evento che nessuno,in questo posto, si sarebbe mai immaginato!
I piu’ accesi sono i giovani, in particolare quelli delle Black Panthers, storica organizzazione rivoluzionaria nata alla fine degli anni 60 per lottare contro la discriminazione verso i neri, divenuta poi’ terroristica, oggi quasi del tutto scomparsa.
Anche gli anziani lasciano trasparire espressioni allegre e sorrisi, tra i solchi di visi segnati dal tempo, dalla fatica di lavori umili, spesso umilianti.
Ma lo spettacolo piu’ commovente lo offrono i bambini, tutti con indosso le shirts e le spillette con la faccia di Obama. Chissa’se queste bimbette, questi bimbetti di colore , potranno crescere in un’America piu’ giusta e meno contraddittoria, rispetto a quella che hanno vissuto le generazioni precedenti.



Oggi e’ l’Election Day, siamo ad Harlem,quartiere storico di New York,luogo mitico, culla della cultura afro-americana: qui ogni vetrina di negozio, angolo di strada, mezzo di trasporto , mostra un’immagine di Barack Obama. Qui tutto evoca la storia di questa minoranza nera, vittima di una feroce segregazione razziale durata ben oltre l’emanazione del CIVIL RIGHTS ACT DEL 1964, voluta da JF Kennedy .
Percorro questo quartiere in lungo ed in largo, mi fermo a parlare con tante persone, donne e uomini anziani,con ragazzi che distribuiscono volantini invitando, ovviamente , a votare per il leader democratico, finche’ mi ritrovo in un’assembramento di sola gente di colore; con incoscienza mi ci intrufolo ed inizio a fare domande: "cosa rappresenta per voi Obama? Che significato ha questa giornata per voi, per la vostra gente?" chiedo.
Un responsabile delle black Panthers mi risponde, dicendomi che qui oggi sta avvenendo una rivoluzione democratica: per la prima volta la sua razza (usa orgogliosamente questo termine) , sta andando in massa a votare per eleggere il primo presidente di colore nella storia di questa grande nazione. Mi dice che Obama rappresenta un’opportunita’ di riscatto per loro, per tutti i fratelli neri, da sempre ai margini, da sempre i piu’ poveri della societa’ americana! A malincuore , sono quasi le 8 di sera, lascio Harlem.
Poco piu’ di 3 ore dopo mi ritrovo in Time Square,dove apprendo la notizia della vittoria di Barack Obama: sara’ il 44° presidente degli Stati Uniti D’America.
In mezzo a quasi un milione di giovani, in un delirio collettivo, vedo scorrere le immagini di festa sui tanti videowall di Time Square: le immagini di Chicago, citta’ natale di Obama;e, inaspettatamente, le immagini che provengono in diretta da Harlem, una troupe televisiva sta riprendendo le scene di festa.
E’ solo in quel momento che la mia mente torna al luogo in cui ero stato qualche ora prima: in un’istante rivedo quel quartiere, ripenso a quello che ha vissuto, a quello che ha visto nel corso della sua storia, a Malcom X che proprio li’ ad Harlem nel 1965 veniva ucciso; ripenso alle Black Panthers incontrate nel pomeriggio, a Martin Luther King che 40 anni fa’ veniva ammazzato a Memphis, alle sue parole “Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere.
Ho davanti a me un sogno, oggi!”. Ripenso ai tanti bambinetti di Harlem che , sono convinto, vivranno in un’America migliore rispetto a quella dei loro nonni.
Fisso la spilletta di Obama appuntata sulla mia giacca con orgoglio, sfilo l’I-Pod e sulle note di “pride- In the name of Love “ degli U2, canzone dedicata proprio a Martin Luther King , cedo alle emozioni: inizio a piangere come un bambino, di gioia, forse di commozione, pensando a quello che e’ accaduto oggi, non solo per i neri d’America, ma per tutte quelle persone, che credono ancora che le ingiustizie sociali, economiche, razziali, possano essere sconfitte!