mercoledì 7 settembre 2016

Cosa Accomuna Un Volgare Red Carpet, Charlie Hebdo E Le Offese A Madre Teresa?



Che cosa accomuna l’esibizione hot di una quasi sconosciuta attrice sul red carpet di Venezia, con  la vignetta pubblicata da Charlie Hebdo che ritrae corpi umani senza vita, sepolti sotto strati di macerie?
E cosa accomuna queste due esibizioni di cattivo gusto, tanto per usare un eufemismo, con il tam tam di critiche e di falsita’ che si e’ rincorso su facebook e sui social media, nei giorni che hanno preceduto e seguito la santificazione di Madre Teresa Di Calcutta?
Qual’e’ il pensiero che fa’ scaturire provocazioni palesemente irrispettose e volgari, e qual’e’ il comun denominatore ideologico di chi le studia, le prepara, le esegue?
Andiamo con ordine: il primo episodio di cui scrivo e’ accaduto al festival del cinema di Venezia, alla presentazione della fiction “The Young Pope” di Sorrentino, quando un’attrice del cast ha sfilato sulla passerella praticamente svestita, o meglio con un vestito che lasciava poco adito all'immaginazione.


La vignetta di Charlie Hebdo l’hanno vista praticamente tutti, pubblicata pochi giorni dopo il devastante terremoto, mentre i soccorritori, sfiniti dalla fatica, ancora scavavano per cercare corpi di sopravvissuti, sperando e pregando nel miracolo.
Ed infine la riprovevole pubblicazione di commenti e di falsita’ su Madre Teresa, definita, su molti di questi, una sadica aguzzina;
ora, premettendo che chi muove le fila di quest’ ultima posizione lo fa’ esclusivamente per meri fini ideologici ed economici anti-cattolici,
come sia possibile che strampalate teorie ed affermazioni attecchiscano cosi’ in fretta, pare un mistero, o meglio parrebbe un mistero,
perche’ in effetti, e’ utile ripeterlo, i social network sono soprattutto ad uso e consumo di webeti (il neologismo e’ di Enrico Mentana),
popolati come sono da buontemponi che riportano la prima notizia che gli salta all’ occhio, e che scrivono il primo commento che gli salta in ventre,
spesso basso ventre, senza filtrare alcunche’: a questi suggerirei, come cura, almeno una settimana di volontariato in una missione di Madre Teresa, “come and see” (vieni e vedi) dicono le suore.
Ma temo ci sia dell’ altro, e cioe’ che ci si trovi di fronte a chi non solo ha problemi di pancia, ma anche d'intelletto e di anima, perche’ per l’ideologia laicista, libertaria ed individualista- per cui esiste solo l’individuo consumista ed arelazionato, e dove l’io e’ scollegato dagli altri, dalla comunita’ e dalla societa’ - il limite scompare, cosi’ come scompaiono verita’ e bugia, male e bene.
Niente di piu’ falso e sbagliato, perche’ chi il limite lo valica, attraverso cattiva coscienza, volgarita’ e false male lingue, non solo fa’ del male a se stesso, ma lo fa’ anche agli altri.

lunedì 5 settembre 2016

"La Speranza Non Si Infrange Contro Un Muro": Reportage Di Missione In Messico.


Zona Di Guerra.

E`un flusso continuo, come una marea inarrestabile, quello dei migranti che provano ad entrare negli Stati Uniti D`America: tra loro non solo latino americani, ma sempre piu' frequentemente anche numerosi gruppi di africani e sparuti di mediorientali: un flusso annuale di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che si assiepano lungo la barriera di confine, provenienti per la maggior parte dal Centro-America, Honduras, Salvador ed Haiti in testa, flusso che va`ad aggiungersi a quello incessante dei messicani deportati al di fuori dei confini statunitensi, perche` indocumentati o perche' condannati, per lo piu' per reati gravi come omicidio, rapine a mano armata, violenze sessuali e violenze domestiche, anche se a volte basta una multa non pagata, una rissa o un qualsiasi reato minore a far scattare l’espulsione dagli USA, che operano centinaia di migliaia di rimpatri all'anno di residenti irregolari sul proprio suolo e di condannati, che una volta scontata la pena nelle carceri, vengono trasportati su bus o imbarcati su aerei che quotidianamente "accompagnano" gli indesiderati fuori dal suolo statunitense.
I messicani vengono deportati al di la' del confine, in luoghi strategici che coprono tutto l'asse che divide il Nord America dall'America Latina, un confine di piu' di 3000 km dal Pacifico al Golfo del Messico, rispettivamente da Ovest ad Est le citta`in cui vengono rimpatriati sono: Tijuana, Mexicali, Nogales, Ciudad Juarez, Ciudad Acuna, Nuevo Laredo e Matamoros, tutti luoghi in cui sono stati eretti muri a protezione degli Stati Uniti , ma anche, quasi fosse una beffa, gli stessi da cui partono le rotte delle centinaia di migliaia di persone che annualmente provano ad entrare, o rientrare, illegalmente in Nord America.
Oltre al muro, che non arriva a coprire un terzo dell'intero confine, droni, elicotteri, sistemi satellitari, pattuglie aeree, navali e terrestri, di militari e di paramilitari dotati di visori notturni ed armi sofisticate, provano quotidianamente ad arrestare una traversata biblica, che parte anche da migliaia di km piu' a Sud, attraverso rotte marittime che solcano il Pacifico ed il Golfo del Messico, attraverso rotte terrestri che oltrepassano deserti cocenti, che valicano passi di montagne aride, rotte  tracciate da piccole imbarcazioni nel mare, che salpano da anfratti nascosti sulle coste messicane,  tracciate a piedi lungo sentieri di centinaia di km attraverso il deserto di Sonora, attraverso le montagne della Sierra del Chihuahua, rotte tracciate dai treni della Bestia, la famigerata e pericolosissima linea ferroviaria che attraversa il Messico da Sud a Nord, dal Chiapas al confine con il Guatemala, fino al confine con la California, l' Arizona, il New Mexico, il Texas.





Rotte che terminano al di' la del muro, in territorio Statunitense: a San Diego, a Yuma, ad El Paso, a Laredo, dove i migranti "finalmente" possono iniziare una nuova vita, da clandestini, fatta di tanto lavoro e sfruttamento, che pero`consente loro di ricevere salari che nei paesi di provenienza si sognerebbero, perche' in Honduras o Guatemala, o nello stesso Messico, uno stipendio mensile difficilmente arriva a 500 dollari, mentre negli Stati Uniti e`di almeno tre volte superiore.
Rotte utilizzate da centinaia di migranti l'anno, che si di riempiono di corpi umani, poi' si svuotano, si chiudono e spariscono, e poi' si riaprono di nuovo, il tutto nel giro di pochi giorni, perche' i coyotes, i passatori, spesso legati ai cartelli del narcotraffico, stabiliscono le rotte, in questa continua rincorsa con chi dovrebbe impedire il passaggio illegale della frontiera, come fosse un gioco da guardie e ladri, con una continua conta di numeri, di saldi passivi od attivi da incasellare in qualche statistica, forse precisa per quel che riguarda i dati dei respingimenti effettuati dalle autorita`americane, comunque incapace di registrare un fenomeno di portata antropologica, perche`quando a migrare  sono milioni e milioni di persone, i paradigmi e le categorie della politica, forse anche della geopolitica, non sono sufficienti.
Ma oltre all' insufficienza di comprensione e quindi di risposte delle istituzioni nazionali e sovrannazionali, e' bene ricordare che non ci si trova di fronte ad un gioco: quelle rotte, o meglio quelle linee come fossero sciami, sono tracciate da persone, uomini, donne e bambini, sono tracciate da persone che rincorrono il desiderio di una condizione economica migliore, come nel caso degli haitiani, che in questo ultimo periodo si stanno riversando in massa verso il confine, spinti dalla concreta possibilita' di ottenere lo status di rifugiati negli Usa, spinti dalla necessita' di emigrare da un Brasile in piena crisi economica e politica (la maggior parte degli haitiani che si ammassano sul confine per entrare in Usa provengono dal Brasile, dove lavoravano nelle costruzioni per i mondiali e per l' olimpiade di Rio), sono tracciate dai molti che fuggono da vere e proprie zone di guerra - come l' Honduras ed il Salvador, paesi in cui le faide e gli scontri tra i diversi gruppi di pandillas lasciano a terra migliaia di vittime tra qui moltissimi innocenti- come molte regioni dello stesso Messico, dal Sinaloa al Guerrero, dove i cartelli dei Narcos controllano i territori con la violenza e la sopraffazione,
il Messico in quelle regioni e` zona di guerra, una guerra che produce migliaia di vittime l'anno.
Nelle zone di confine con gli States, come a Tijuna, ogni anno, oltre ai deportati dalle autorita' statunitensi, si riversano centinaia di migliaia di profughi di queste guerre dei narcos; i cartelli controllano il territorio con la violenza piu' efferata soprattutto nelle regioni del Guerrero e del Sinaloa, e’ soprattutto da li' che arrivano i migranti messicani, tra loro anche molte donne e bambini che hanno perso padri e mariti, vittime della guerra dei narcos, che percorrono centinaia di km a piedi nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti.
Ma la violenza non si arresta sul cammino di speranza verso gli Usa, anzi, spesso e' proprio durante il viaggio, perche' piu' vulnerabili, che i migranti subiscono violenze di tutti i tipi, dagli stessi coyotes, che spesso prendono i loro soldi e si dileguano lasciandoli soli in balia del deserto, dai narcos che non vogliono vedersi sovrapporre le loro rotte di traffici illegali con quelle dei migranti,
cosi' sono migliaia le vittime di queste violenze: la Commissione Messicana dei Diritti Umani (CNDH) ha calcolato che vi sono, in media, 20.000 sequestri di migranti ogni anno, migliaia gli stupri, centinaia di migranti inghiottiti in questo abisso e spariti nel nulla, molti di questi sono minori.





Tijuana.

Tijuana sorge sul punto piu occidentale dell intera America Latina, e’ unagglomerato urbano con una densita di abitanti elevatissima, che si interrompe in prossimita del muro, come fosse un ferita da taglio sulla terra: un muro surreale ed inquietante, cosi' come lo sono i continui passaggi di mezzi della Border Patrol, di droni, di voli 24 ore su 24 di elicotteri militari che pattugliano questo lembo di terra e di Oceano che separa il Nord dal Sud Del Mondo, il confine piu' militarizzato sul pianeta insieme a quello che separa Israele dalla West Bank e da Gaza.
Un muro che separa padri da figli, figli da madri, separa fratelli da sorelle, mogli dai mariti, e che spezza vite umane: negli ultimi 5 anni sono state migliaia le vittime tra le centinaia di migliaia che hanno provano ad attraversarlo illegalmente, tentando la sorte in aree impervie come il Deserto di Sonora, od attraversando zone controllate dai cartelli del narcotraffico.





A Tijuana vivono centinaia di migliaia tra richiedenti asilo, migranti e deportati, quasi tutti occupati nelle maquiladoras, fabbriche a cui viene subappaltato il lavoro di molte multinazionali stranieri, soprattutto americane, che qui beneficiano di manodopera a bassissimo costo ed esenzioni fiscali;

La manodopera, va da se, viene sfruttata il piu’ possibile, almeno dieci/dodici ore al giorno di lavoro di giovanissimi, donne e migranti (molti messicani e clandestini in paziente attesa di valicare il confine) in cambio di un salario che mediamente e intorno ai 300 dollari mensili.

I diritti e le tutele per questi lavoratori sono quasi del tutto inesistenti, non c’è crescita dei salari, non esistono contratti lavorativi e gli abusi sono all’ordine del giorno per questa manodopera usa e getta, ideale per un luogo di frontiera qual'e' Tijuana.



“Tequila, sesso e Marijuana” cantava Manu Chao in una delle sue canzoni piu’ conosciute dal titolo “Bienvenido a Tijuana”, ed in effetti molti sono i giovani americani che attraversano il confine ogni fine settimana a comprare sesso dalle numerose prostitute dei locali notturni della zona norte della citta’, a comprare droga ed a comprare alcol, che in Messico, a differenza degli Usa dove e’ vietato ai minori di 21 anni, e’ di libera vendita anche per i diciottenni.

Tijuana non nega la sua fama, affollata com’e’ di migranti in attesa di varcare il confine, di deportati dagli Stati Uniti, di narcotrafficanti e di  giovani americani in cerca di sballo e divertimento: un luogo dove torbide domande incontrano altrettanto torbide offerte.

Ma Tijuana non e’ abitata solamente da un’umanita’ devastata ed abbandonata.


  




Storie Di Frontiera.




C’e’ dell’altro a Tiujana, c’e’ soprattutto un’umanita’ in cerca di riscatto, in cerca di una nuova opportunita’, un’umanita’ carica di speranza:



Juan ha dodici anni ed e' cittadino statunitense.
Si trova in Messico, in una struttura di accoglienza, perche' il padre e la madre sono stati deportati dagli Usa.
Vivevano tutti e tre in California, a San Bernardino, poco lontano da Los Angeles, il padre di Juan, avendo la residenza negli Stati Uniti, dieci anni fa' servi’ nel corpo dei Marines, prendendo parte a diverse missioni all’estero, anche in Iraq.
Rientrato dalle missioni aveva iniziato a bere, e dopo due fermi di polizia e due arresti per stato di ebrezza durante la guida, le autorita' statunitensi gli hanno revocato il permesso di residenza, e subito deportato fuori dai confini, a Tiujana.
La moglie, anche lei con un permesso di residenza, ed il figlio Juan, lui cittadino degli Stati Uniti perche' nato in California (negli Usa vige lo Ius Soli) sono stati costretti a rientrare in Messico accanto al padre, che ora lavora in una maquiladoras, luogo di lavoro per molti messicani e clandestini in paziente attesa di valicare il confine, per 2 dollari l'ora (almeno 10 h al giorno x 5 gg settimanali).
Cosa sogna Juan? Di rientrare al piu' presto negli Usa, ritrovare i suoi amici, riprendere la scuola a San Bernardino, e tra qualche anno entrare nei Marines, proprio come suo padre.
Sono centinaia gli ex militari americani (perche' senza cittadinanza statunitense) deportati fuori dai confini nazionali, dopo aver compiuto reati e violenze legati soprattutto alla Sindrome post-traumatica da stress o nevrosi da guerra.


Abigail viene da Uatla Morelos, una piccola cittadina ad un centinaio di km a Sud della Capitale Ciudad De Mexico, e' una ragazza madre di due maschietti, il piu' piccolo Axel di 5 mesi, il piu' grande Isaac di 5 anni.
Ha percorso quasi tremila km, tanto e`la distanza che separa il luogo in cui e' nata ed ha vissuto per 22 anni, da Tijuana, una distanza coperta solo in parte con gli autobus, perche' Abigail, con in braccio i due bimbi, ha percorso molte centinaia di km a piedi, impiegando quasi tre mesi per raggiungere il tanto agognato confine con gli Stati Uniti D'America.
Ha camminato per giorni e giorni tenendo in braccio Axel, il suo piccolo di pochi mesi, mentre Isaac gia' perdeva la sua infanzia, in un cammino oltraggioso per un bimbo di appena 5 anni.
Vive da piu' di un mese in un centro di accoglienza per rifugiate ed immigrate a Tijuana, aspettando il colloquio con un funzionario della dogana statunitense, perche', ovviamente, la sua meta sono gli Stati Uniti, dove vorrebbe ricongiungersi con tre dei suoi fratelli che vivono nel Nord-Est.
Abigal mi ha pero’  assicurato che se andasse male il colloquio con il funzionario della dogana statunitense che approva o meno i visti ed i permessi d'ingresso, com' e' piu' che probabile l' ammonisco io, - non proverebbe comunque ad attraversare la frontiera illegalmente per raggiungere gli Stati Uniti; in ogni caso, che il suo intento di tornare a Uatla Morelos con i suoi due piccoli,  sia vero o meno, la sua storia e' identica a quella di migliaia di donne che ogni anno provano ad attraversare la frontiera per raggiungere gli Stati Uniti, per ricongiungersi a mariti, fratelli, cugini.
Nel tentativo di passare illegalmente il confine, ogni anno muoiono migliaia di persone, molte di queste, soprattutto donne,  scompaiono nel nulla.
A settembre 2014  sono state rinvenute 60 fosse comuni contenenti i resti di centinaia di persone, negli ultimi 8 anni in Messico, soprattutto nelle zone di confine,  sono stati trovati  piu' di 1.200 cadaveri in decine di fosse comuni.


Prince e' del Ghana, ha lasciato il suo Paese quasi 6 mesi fa' prendendo un volo per Lima, da li' e' iniziata la sua odissea: Equador, Colombia, Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Mexico.
Ha attraversato giungle a piedi, guadato fiumi, cambiato decine di autobus, ha percorso piu' di 10mila km (come se avesse attraversato da Sud a Nord l'Italia per ben 10 volte).
E' magrissimo, ha una gamba malandata ed una vistosa dermatite su tutto il corpo, i suoi occhi sono si' lucidi di sfinimento, ma ancora carichi di speranza.
La sua speranza e' di riuscire a superare il confine ed entrare negli Stati Uniti D'America,
e di dimenticare il viaggio carico di sofferenza e di violenza, come quella che ha subito dai ladrones in Nicaragua che gli hanno rubato i soldi , e quella che ha subito dai poliziotti che l'hanno picchiato in uno dei Paesi che ha attraversato.



Ramon e’ nato in un paesino del Michoacan, ha 25 anni, sei anni fa’ ha attraversato la frontiera illegalmente, raggiungendo un cugino a Tucson, in Arizona, dove illegalmente ha vissuto e lavorato fino a quando e’ stato scoperto durante un controllo di polizia, e deportato a Tijuana tre mesi fa’: mesi difficili, di duro lavoro in una maquiladoras, sempre con quel pensiero fisso di tornare negli Usa, a qualsiasi costo, in qualsiasi modo, anche, di nuovo, illegalmente.
Ed a Tijuana l’occasione arriva facile, basta far girare la voce, tra i colleghi, tra gli amici, nei locali, ed i coyotes spuntano come funghi, pronti a vendere pacchetti personalizzati, 5mila, 6mila, anche 7-8mila dollari per attraversare la frontiera: ”Passiamo da Mexicali, una notte di cammino, e’ sicuro, mi dai la meta’ subito, la meta’ quando sarai al sicuro negli Stati Uniti” gli dice con risolutezza il coyote, lui accetta, gli risponde che la prima meta’ ce l’ha a disposizione, mentre per l’altra meta’ sara’ suo cugino negli Usa a pagare, con un trasferimento di contanti, ma solo quando avra’ la certezza che Ramon stia bene e che si trovi realmente sul suolo statunitense, “va bene” gli conferma il coyote.
La notte stessa sono in due a guidarlo fino al muro, attraverso valichi di monti desertici da cui si vedono le luci di Mexicali, lo aiutano a scavalcare in una zona dove le protezioni sono piu’ facilmente valicabili, gli danno un telefonino in mano, gli impartiscono l’ordine di andare dritto in una direzione per 3-4 km, mezz’ora di tempo, dopo di che ricevera’ una telefonata.
Cosi’ Ramon esegue, si mette di nuovo in marcia,  la telefonata arriva dopo poco piu’ di mezz’ora, uno squillo sul telefonino anticipa una voce rauca: “lo vedi quel monte? Bene, prosegui in quella direzione, stiamo venendo a prenderti”, cosi’ prosegue il cammino, fino a quando sente un rumore di un fuoristrada che si avvicina a fari spenti, sono loro, due complici dei coyotes di prima, gli ordinano di salire sulla macchina rapidamente, Ramon esegue,
ora si sente al sicuro, pensa di essere in salvo, di avercela fatta di nuovo, di essersi fatto beffa del muro, della Border Patrol e di tutto quell’assurdo  sistema di separazione,
ma da quel momento per lui inizia un’incubo peggiore, i 2 coyotes sono fatti di crystal, una droga a base di anfetamina, e sono eccitati, sono sospettosi, paranoici, vogliono subito il resto dei soldi, Ramon gli replica che non li ha, che deve chiamare suo cugino, tenta di rassicurarli, gli dice che domani li avra’, i coyotes si spazientiscono ancor di piu’, pensano che la Border Patrol sia nelle vicinanze, quindi, vero o meno che sia, decidono di condurlo in una casa, dove lo minacciano di morte piu’ volte e ripetutamente lo colpiscono con il calcio di una pistola.
Quando i coyotes in preda alla droga paiono abbandonare i sensi, Ramon riesce a fuggire dalla casa dov’era segregato, raggiunge un luogo abitato, si nasconde li’ per una notte, ed il giorno successivo viene salvato, venendo catturato da una pattuglia della polizia statunitense, di Yuma, che lo prende in consegna e lo deporta, di nuovo a Tijuna.
Ramon, con un labbro tumefatto ed un’occhio livido, ospite della casa del Migrante, dice di aver imparato la lezione, e che non vorra’ piu’ riprovare a tornare negli Usa,
chissa’ se questa sua volonta’ rimarra’ tale anche quando le ferite sul suo volto e il grande spavento saranno svaniti.

 




Il Bene, Quello Di Dio E Quello Umano, Sono Piu' Forti.


Ma non e' forse la speranza, che e' la speranza di Dio, a muovere il cammino umano?

Ci sono volute 3 ore di fila a piedi da Tijuana per attraversare il confine, insieme a centinaia di messicani, pazienti, silenziosi, in attesa del colloquio con gli ufficiali dell’immigrazione statunitensi.
Il mio, di colloquio, e’ durato appena qualche decina di secondi, il tempo di mostrare il mio passaporto europeo ed il visto per gli Usa, il tempo di rispondere alle uniche due domande che l’ufficiale mi ha posto:” Dove sei stato in Messico e per quanto tempo?”, dopo la mia risposta :”15 giorni, sono stato in una missione cattolica”, l’ufficiale mi ha riconsegnato il passaporto e mi ha salutato: ero di nuovo negli USA, a San Ysidro, in direzione San Diego.






Quella stessa sera, davanti al Pacifico, provavo a scorgere la costa verso il Messico, dietro di me la tranquillita’ di downtown San Diego mi pareva surreale paragonata alla confusione ed al dramma di cui ero stato testimone fino a qualche ora prima, riflettevo su due mondi cosi’ vicini ma cosi’ lontani, cosi’ vicini fisicamente da toccarsi, cosi’ lontani per contesti sociali ed economici quasi fossero due pianeti diversi, separati appunto.



Ripensavo alle storie drammatiche che ho ascoltato dietro quel muro, alla violenza di chi le ha subite, alla speranza che ancora anima le persone che le hanno vissute e che me le hanno raccontate, perche’ in fondo, queste persone sono ancora vive, mentre a migliaia sono quelli che non possono piu’ raccontare.
Ripensavo al perche’, pur sapendo che possono morire disidratati nel deserto, oppure finiti uccisi dai narcos, centinaia di migliaia di persone rincorrono questo sogno di terra promessa, quasi fosse una lotteria, od un’eldorado.
Che probabilita’ ci sono di vincere una lotteria milionaria? 1 su un milione,1 su un miliardo? Praticamente e’ impossibile, eppure tantissimi in Italia, in Occidente, anche qui negli Stati Uniti, giocano alla lotteria.
“No Candide, l’Eldorado non esiste”, Gli Usa sono pieni di homeless, e la violenza non si arresta oltre quel varco:” quante sparatorie di massa e violenze si registrano anche al di la’ di quel muro, dove persino lo stato perpetra la piu’ assurda e paradossale violenza di tutte, la pena di morte?”




No, l’Eldorado non esiste, esiste pero’ l’incoscienza dei molti giovani africani e latinos che tentano la sorte sfidando narcos, serpenti a sonagli, deserti, uomini in divisa armati pronti a far fuoco, e muri.
Esiste la speranza di chi cerca un’opportunita’ nuova, di chi cerca un diritto ad un esistenza un po’ piu’ dignitosa, perche’ davvero scappa da situazioni di pericolo oggettivo ed imminente, ed ha i titoli per chiedere lo status di rifugiato.


Ed esiste il bene, quello di Dio che illumina anche i luoghi piu’ bui del nostro tempo, attraverso lo straordinario lavoro di uomini di buona volonta’, pronti al sacrificio, alla generosita’, alla solidarieta’, all’amore verso il proprio fratello, magari anche incosciente e nell’errore, che si accalca lungo il confine.
Esistono opere straordinarie a Tijuana, la maggior parte cattoliche, luoghi come la “Casa Del Migrante” * degli Scalabriniani, luoghi come il progetto “Padre Chava” dei Salesiani, dove sacerdoti, missionari laici, volontari con turni massacranti ed in contesti logistici disagevoli, sopperiscono al lavoro che spetterebbe alle istituzioni, non solo messicane e forse neppure statunitensi, perche’ fenomeni migratori di tale portata comportano sconvolgimenti geopolitici, e probabilmente richiederebbero interventi di istituzioni sovrannazionali.
Ma forse manca la volonta’ politica, e questi gorghi della storia fanno comodo a molti poteri.
Quella sera ho salutato l’oceano, l’indomani sarei ripartito per Las Vegas prima di far ritorno a Detroit, un Pacifico calmo, all’interno della baia di San Diego, riparata da una promontorio che protegge la costa, proprio come un muro, ma quell’acqua davanti alla baia di San Diego pareva stagnante, forse persino maleodorante, mentre a Tijuana Il Pacifico e’ libero, forte potente, e le sue onde a volte paiono sommergere quella parte di muro che invasivamente si protrae oltre la costa, e per decine di metri sfida le acque dell’oceano.





L’oceano, ho pensato, con le sue onde continue, incessanti, alla fine avra’ la meglio sul muro, proprio come fara’ il cammino umano, che non si e’ arrestato davanti ai muri, ma li ha valicati ed abbattuti, proprio perche’ il cammino dell’uomo, iniziato milioni di anni fa’ nella Rift Valley in Etiopia, ha lo stesso ritmo del Pacifico, un ritmo perpetuo, irrefrenabile.

*La Casa Del Migrante, fondata nel 1987, ospita ogni anno quasi 50mila persone tra immigrati, deportati dagli Usa, rifugiati, offrendo loro cibo, vestiti, un letto in cui dormire, assistenza medica, psicologica, spirituale (foto  qui)