L'
Etiopia, in pochi anni, è diventata la nuova frontiera della produzione di
fiori, una frontiera comoda e remunerativa per le grandi multinazionali del
settore,
quantomeno
controversa per l'ambiente naturale circostante le chilometriche serre in cui vengono prodotti, e controversa per
quelle decine di migliaia di dipendenti etiopi, soprattutto donne, che lavorano
nella produzione.
Se
in un supermercato occidentale, anche italiano, state adocchiando delle rose da
comprare,
puo'
essere che vi stiate imbattendo in fiori prodotti nel paese del Corno d'Africa.
A
Zway (o Zuai), piccolo centro 200 km a sud di Addis Abeba, sorge la piu' grande produzione di rose nel mondo (più di un miliardo all'anno),
quella dell' olandese Sher.
Tanto
per darvi un'idea: Zway ha una popolazione di circa 40 mila persone, la Sher
impiega, in questo stabilimento, quasi 15 mila persone, quasi tutte donne
di
questa cittadina etiope che si affaccia sull'omonimo lago,
conosciuto per essere l'habitat di numerose specie, anche rarissime, di
uccelli, e perche', secondo la tradizione, nell'antichissimo monastero copto
che sorge sulla cima dell'isola, nel mezzo delle acque del lago, sarebbe
stata custodita - per sette anni, prima di essere nuovamente riportata ad Aksum-
l'arca dell'Alleanza.
Una
frontiera, quella della produzione di rose in Etiopia, che segue, non solo
geograficamente, quella ormai superata, perche' più sconveniente
economicamente, del Kenya,
dove
già, nei primi anni del duemila, alcune organizzazioni ambientaliste
lanciarono l’allarme per l’uso incontrollato dei pesticidi,e dove la giustizia
condanno' per sfruttamento diverse multinazionali del settore.
Dunque
dal Kenya ci fu, gia' una decina di anni fa, un esodo verso l'Etiopia; le
ragioni principali: costi di produzione piu' bassi (anche perche' in sole
tre ore di spostamento con enormi tir, si trasportano i carichi verso l'hub
principale d'Africa, l'aeroporto Bole di Addis Abeba, dove successivamente le
rose vengono caricate sui cargo direzione Amsterdam, centro mondiale di
smistamento dei fiori recisi)
e
manodopera locale ancor più a buon mercato, quasi tutta femminile, dai
diciassette anni in su.
All'interno
di questa immensa sede, la multinazionale olandese ha costruito un ospedale, un asilo ed
una scuola per i figli delle dipendenti, che pero' si ammalano con sempre piu'
frequenza, e sempre piu' sono i casi di aborti spontanei.
Questa
coltivazione intensiva di rose richiede grandi quantita' d'acqua, che
viene prelevata ed infine sversata, al termine della filiera, nel
lago
adiacente lo stabilimento, dove, peraltro, i locali portano il bestiame ad
abbeverarsi.
Acqua
che entra nello stabilimento pulita e fuoriesce inquinata: di prodotti chimici e
pesticidi, gli stessi che pare compromettano la salute delle dipendenti
di questa produzione.
Ma
il business delle rose d'Etiopia pare ormai inarrestabile, per gli
incentivi che il governo di Addis Abeba
concede
alle multinazionali che investono (per i primi cinque anni di attività non
pagano alcuna tassa, l’importazione dei macchinari e delle infrastrutture
avviene senza spese doganali, l’affitto mensile della terra costa poco),
e
per l'enorme bisogno di lavoro che vi e' in questo paese, fino a pochi anni fa
uno dei piu' poveri del Mondo.
In