mercoledì 10 luglio 2024

I Fiori, Nel Letame Di Questa Terra"

Un caro saluto dalla terra dell'origine, l'Etiopia: Selam, pace in amarico. Posso dirvi che qui mi sento in pienezza. Non faccio granché per la verità: soprattutto sto studiando e faticando non poco per avanzare molto lentamente in questa ostica lingua amarica. Quando mi chiedono come va con questo idioma rispondo più o meno così፡"inkulal kes bekes beigrua' teedalech", che è un saggio detto etiope che tradotto significa che "l'uovo piano piano impara a camminare da solo" (diventando pulcino, poi gallina). Cioè a dire che ci vuole tempo, pazienza, impegno, speranza, benevolenza. Ed amore, per crescere e far crescere...amore, quello che provo qui: sinceramente, il condividere con queste genti, con questa terra "umile" e "sincera", con questi "poveri" che vivono (la maggioranza degli etiopi) con meno dell'equivalente di 2 euro al giorno, mi pone -lo sento in profondità- nell'amore, nella giustizia, nella tenerezza, nella fiducia, nella speranza...per me, per questa umanità (qui composta soprattutto di bambini e di giovani, ossia di tenerezza e di speranza per il futuro), per Dio. Condividere del tempo con degli orfani in un orfanotrofio, attraversare a piedi, a fatica per via del flusso continuo di traffico, le strade di Addis Abeba al fianco di alcune donne che portano sulle spalle i loro piccoli, di altre che portano fascine di legna che paiono persino più grandi di loro, prendere un bus o minibus carico come un "carrobestiame" per muovermi in questa città, dove raro è vedere un ferenji (bianco, occidentale) muoversi e spostarsi come fanno abitualmente i locali, rimanere - nella stanza della missione in cui mi trovo- per giorni senza acqua corrente e senza elettricità (ad Addis Abeba ci sono dei quartieri in cui l'acqua e la luce mancano da settimane, e questa è purtroppo la normalità per la maggioranza, in una città in cui, di contraltare, si stanno costruendo palazzi pregiati con all'ingresso fontane d'acqua sfavillanti, illuminate giorno e notte), vivere anch'io con meno dell'equivalente di due euro al giorno, sapendo però di poter permettermi di più, molto di più, quando posso, quando voglio, ogni tanto, come andare una o due volte a settimana in un ristorante spendendo l'equivalente di 3-4 euro per una pizza od una lasagna con bibita, cifre che qui corrispondono ad un decimo dello stipendio medio mensile di un etiope. Non faccio altro, non cambio le enormi situazioni di povertà e d'ingiustizia, non faccio politica, non scardino di un millimetro l'oppressione sotto cui la maggioranza qui vive, sto "solo" condividendo gran parte del tempo stando "accanto" il più possibile, prossimo il più possibile, a queste persone, ai piccoli, agli orfani, ai poveri (qui ovunque), vivendo in semplicità. Ma è proprio questa vicinanza che mi avvicina, e che fa avvicinare - a volte con gratitudine, a volte con diffidenza - queste persone, "ultimi" che sento essere già i "primi" nella semplicità, nella condivisione appunto, a volte anche nell'umanità e nella generosità... Una vicinanza che sento rendermi meno solo e meno povero, e che sento rendere meno sole e meno povere, e meno "abbandonate" ed "oscurate", le persone con cui ho a che fare in questo paese, perché loro, come me, credo capiscano che si è meno poveri nella condivisione, e che la vera ricchezza poi non sia altro che un cammino che aspira ad un'unità delle diversità. Imparo lentamente, come "un uovo che forse camminerà sulle proprie gambe", più che l'amarico, a vivere, a guardare oltre, oltre le ferite - le mie, quelle di questa povera meravigliosa umanità - la speranza. Imparo a guardare - ed a provare a custodire ed amare - la sacralità, che risiede - di questo mi convinco sempre di più- non in una immagine, non in una devozione, non in una ideologia - ma nella vita, nella vicinanza, nella condivisione concreta di un sapore, di un odore a volte non facile da sentire, di un tocco reale - tenero e misericordioso come una carezza non affatto scontata- ad una ferita, ad una povertà, ad una terra mischiata di fango e di sterco. "È dal letame che nascono i fiori" scriveva De Andrè, lo credo anch'io. Credo che non ci sia niente di più Sacro dei poveri e della terra in cui vivono, in cui viviamo, e del cielo, a cui aspirano, a cui tutti, ricchi e non ricchi, ferenji ed abesha (etiopi) aspiriamo. Ogni bene