martedì 28 aprile 2020

La "Discutibile" Uscita Della CEI E la Ripartenza, Dalla Cura Del Noi

Velati desideri di teocrazia pare siano una tendenza molto in voga in questo periodo storico, reminiscenze mai passate per una parte, minoritaria ma potente, di Chiesa, ora (come allora) avvelenata e strumentalizzata da interessi "altri", economici e politici, nostalgici ed oscurantisti.
Per quanto fosse "giustificato" un intervento "istituzionale", da parte della CEI mi pare siano stati azzardati, e poco frutto di discernimento, i tempi e gli spazi relativi all'intervento.
Tempi: gli ancora tanti morti, dovrebbero indurre a maggior prudenza e cautela,
e non pare sia questo il tempo per "regolare i conti", piuttosto dovrebbe essere un tempo di silenzio, preghiera, ascolto, e possibilmente di creatività e sperimentazione, anche sui nuovi linguaggi di comunicazione/evangelizzazione, soprattutto verso i giovani ( su questo consiglio il prezioso dialogo "virtuale" tra il giovane Don Roberto Ravagnani e Roberto Saviano in una recente "diretta streaming").
Spazi: le Chiese sono tra i luoghi piu' a rischio per la diffusione del virus, proprio perche' le comunita' delle Messe sono quasi esclusivamente rappresentate da anziani ( in proposito, ai miei genitori ultrasettantenni, per ancora diverso tempo, consigliero' di continuare a seguire le messe di Papa Francesco in tv),
fa specie poi' che sia proprio la Lombardia,  regione dove sta avvenendo un vero e proprio stillicidio, frutto anche (aggiungo) di responsabilità, a mio avviso, politiche, e probabilmente non solo quelle, a cavalcare e strumentalizzare l'uscita estemporanea della CEI.
Vado al dunque: sbagliare tempi e luoghi e' grave, indice, forse,  di mancanza di discernimento, di una (voluta?) non comprensione dei tempi, di questi tempi specifici, ma anche piu' generali, di "cambiamento di epoca" che stiamo vivendo.
Bene ricordarsi quanto ha affermato, nell'ultimo discorso alla curia, discorso che fa  storia e che dovrebbe orientarci, Papa Bergoglio: "non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, che non vuol dire passare a una pastorale relativistica. Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata».  
Infine, quando si sente parlare di "popolo", in questo caso di Dio", spesso strumentalizzandolo (un po' come fanno i sovranisti- populisti, che sono l'esatto contrario del popolare), si sente in sottofondo odor di bruciato. Che e' molto simile all'odore di chiusura, di muffa delle sacrestie,  di difesa di particolarismi ed identitarismi, e del potere,  di un aggrapparsi a schemi e ad un mondo che non esiste piu' ma che viene rivendicato (probabilmente per i suddetti interessi, forse poco evangelici, magari piu' mondani...).
In generale, bisognerebbe "osare" un po' di piu', guardare un po' piu' in la', anziché chiudersi nel proprio "pezzettino" di "certezze", che crollano ma che si  rivendicano, 
del proprio pezzettino di responsabilità che produce il contrario, ossia deresponsabilizzazione.
 Tra l'altro lo spirito Santo soffia dove vuole, libero da schemi, e libero di scompaginare; a proposito: gli ospedali da campo stanno in mezzo alle strade, in mezzo ai feriti, tra i bisognosi, aperti ed in movimento, non chiusi e rigidi nelle possibilità di vedute e di spostamenti.
Ripartire dagli ospedali da campo, dove siamo chiamati a stare, e non solo nelle, vuote gia' da prima che arrivasse il lockdown, Chiese e sacrestie.
Ripartire dalla cura: degli anziani e dei bambini, dei giovani e dei più fragili, delle famiglie, delle scuole, della sanità, dell'ambiente e del pubblico, che poi sono tutte facce della stessa medaglia. 
Quella sarebbe la cartina di tornasole, il frutto maturo del passaggio dall'io al noi. 
Auguri.


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