Dall'Uganda, attaccato ad un terminale, in un internet point che solo chi conosce l’Africa puo' immaginare,
seguendo un uomo vestito di bianco, nel suo primo, atteso, cammino su questa terra rossa.
Seguendo il successore di Pietro, in mezzo a milioni di africani, tra ugandesi, sudanesi, ruandesi, congolesi, festanti e travolgenti di entusiasmo.
Ne vale la pena, vale la pena affrontare le difficolta’ di estenuanti spostamenti, di continui controlli dei militari ugandesi, impazziti in vani tentativi di mettere un po’ di ordine all’infinita marea di bambini, donne ed uomini, giunti a piedi anche dai luoghi piu' disparati dell'area africana dei grandi laghi.
Un Papa immenso, portatore della speranza del Vangelo, operatore di pace nel suo pellegrinaggio, iniziato da pontefice nell’estremita’ piu’ periferica dell’Europa,
quella che si protende alla vicina Africa , che ne sente gli odori, che ne vede annegare i suoi figli carichi di speranza, in fuga da guerre e poverta’ endemiche, inghiottiti da quel mare che e' diventato un gorgo della storia
A Lampedusa ci chiese: “Dove sei, Adamo?». Ci spiego’ del disorientamento dell’uomo “perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”.
Ci disse con intelligenza profetica: “nessuno oggi nel mondo si sente responsabile di questo: abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna;
la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza, quella che ci ha tolto la capacità di piangere.”
Immenso in quel suo primo viaggio da Pontefice, immenso in questo suo primo viaggio apostolico qui in Africa, che di Lampedusa diventa proseguimento di una rotta che ridefinisce non solo le periferie ed i centri, ma soprattutto ridefinisce le priorita’ dell’uomo, specie dell’uomo piu’ in crisi di quest’epoca: quello occidentale.
Parla agli occidentali la testimonianza della sua visita a Kangemi, facendosi largo tra le baracche ed i rifiuti in cui sopravvivono centinaia di migliaia di persone, bambini soprattutto, in uno slum di Nairobi dove vivono 30 mila persone(non e' riuscito per questioni di sicurezza ad andare a Kibera e Korogocho, tra le piu' grandi baraccopoli al Mondo, dove vivono centinaia di migliaia di esseri umani),
parla agli occidentali la sua tunica che da bianca diventa ocra , sporcata dalla polvere della terra rossa e del fango,
parla agli occidentali il suo essere post-ideologico, il suo rendere corpo il pensiero, rendere corpo lo spirito, perche’ se l’uomo non cerca Dio, se l’uomo esclude Dio, l’uomo si ammala nello spirito, si ammala di nichilismo, pigrizia, indifferentismo, e si ammala nel fisico, che spesso in occidente si fa' obeso.
L’immagine dei bambini smilzi di Kangemi, che stride con corpi sovrappeso che abbondano nelle nazioni ricche.
Parla agli occidentali quando afferma che salvare i migranti , dare loro opportunita’,creare ponti e non muri, significa salvare la speranza, quella di chi fugge da guerra e poverta’, ma anche quella dimenticata nelle vite di solitudine in occidente, perche’, anche qui l’ha ricordato, “nella società consumista la nuova povertà è la solitudine”.
Seguendo il successore di Pietro, in mezzo a milioni di africani, tra ugandesi, sudanesi, ruandesi, congolesi, festanti e travolgenti di entusiasmo.
Ne vale la pena, vale la pena affrontare le difficolta’ di estenuanti spostamenti, di continui controlli dei militari ugandesi, impazziti in vani tentativi di mettere un po’ di ordine all’infinita marea di bambini, donne ed uomini, giunti a piedi anche dai luoghi piu' disparati dell'area africana dei grandi laghi.
Un Papa immenso, portatore della speranza del Vangelo, operatore di pace nel suo pellegrinaggio, iniziato da pontefice nell’estremita’ piu’ periferica dell’Europa,
quella che si protende alla vicina Africa , che ne sente gli odori, che ne vede annegare i suoi figli carichi di speranza, in fuga da guerre e poverta’ endemiche, inghiottiti da quel mare che e' diventato un gorgo della storia
A Lampedusa ci chiese: “Dove sei, Adamo?». Ci spiego’ del disorientamento dell’uomo “perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”.
Ci disse con intelligenza profetica: “nessuno oggi nel mondo si sente responsabile di questo: abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna;
la cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza, quella che ci ha tolto la capacità di piangere.”
Immenso in quel suo primo viaggio da Pontefice, immenso in questo suo primo viaggio apostolico qui in Africa, che di Lampedusa diventa proseguimento di una rotta che ridefinisce non solo le periferie ed i centri, ma soprattutto ridefinisce le priorita’ dell’uomo, specie dell’uomo piu’ in crisi di quest’epoca: quello occidentale.
Parla agli occidentali la testimonianza della sua visita a Kangemi, facendosi largo tra le baracche ed i rifiuti in cui sopravvivono centinaia di migliaia di persone, bambini soprattutto, in uno slum di Nairobi dove vivono 30 mila persone(non e' riuscito per questioni di sicurezza ad andare a Kibera e Korogocho, tra le piu' grandi baraccopoli al Mondo, dove vivono centinaia di migliaia di esseri umani),
parla agli occidentali la sua tunica che da bianca diventa ocra , sporcata dalla polvere della terra rossa e del fango,
parla agli occidentali il suo essere post-ideologico, il suo rendere corpo il pensiero, rendere corpo lo spirito, perche’ se l’uomo non cerca Dio, se l’uomo esclude Dio, l’uomo si ammala nello spirito, si ammala di nichilismo, pigrizia, indifferentismo, e si ammala nel fisico, che spesso in occidente si fa' obeso.
L’immagine dei bambini smilzi di Kangemi, che stride con corpi sovrappeso che abbondano nelle nazioni ricche.
Parla agli occidentali quando afferma che salvare i migranti , dare loro opportunita’,creare ponti e non muri, significa salvare la speranza, quella di chi fugge da guerra e poverta’, ma anche quella dimenticata nelle vite di solitudine in occidente, perche’, anche qui l’ha ricordato, “nella società consumista la nuova povertà è la solitudine”.
E parla alle Nazioni Unite di Nairobi con la sua enciclica "Laudato Si", citandola piu' volte , quando invita a "concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune»,
quando incoraggia «gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi»,
quando sollecita nuovi stili di vita e culturali "nulla sarà possibile se le soluzioni politiche e tecniche non vengono accompagnate da un processo educativo che promuova nuovi stili di vita. Un nuovo stile culturale".
Ne vale la pena, in un mondo orfano di padri, orfano di leaders autorevoli, accompagnare un Pontefice profeta.
Vale la pena essere qui, da testimone attivo, davanti a questo gesuita arrivato dalla fine del Mondo: perché ovunque andra' la storia,
Francesco la storia la sta' compiendo, e cambiando.
Giuseppe Luca Mantegazza
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