La frontiera: un luogo
fisico, un luogo dell'anima.
L'ambiente esterno stimola
il pensiero e l'anima, che si plasmano e si modulano in funzione di esso.
Paura dell'ignoto, paura
della frontiera, foriere di minacce, di insidie, di pericoli.
Nell'ignoto, nel buio della
prateria, della foresta, in quello delle montagne rocciose, nel buio del
deserto e dell'oceano si nasconde il pericolo, o peggio il male.
"La frontiera e' da
domare!": che sia contenuta in questa espressione l’essenza della radice
americana, almeno di quella puritana, quella della “bibbia e della pistola” dei
padri pellegrini, i fondatori
dell'America?
Mezzo millennio dopo
quell'essenza pare sia ancora li', perche' la frontiera non e’ affatto domata:
ne’ quella esterna, tantomeno quella dell'animo umano.
E non basta la conoscenza,
non basta neppure la tecnologia sempre piu' sofisticata, e forse non basta
nemmeno Dio, che e' benevolo.
trovarono i primi
coloni: deserto, praterie , cieli infiniti, foreste grandi come stati
europei, laghi immensi come mari, che nelle giornate di tormenta alzano onde di
diversi metri, come fa' il Pacifico, altro luogo simbolico della frontiera
americana.
Certo, oggi ci sono le
strade, le macchine, che devono essere piu' larghe possibili per togliere
spazio alla frontiera.
E ci sono le armi, che
devono avere il volume di fuoco piu' ampio possibile, per fronteggiare i
pericoli della frontiera.
E ci sono i corpi umani
che, anche loro, devono essere i piu' larghi possibili, per affrontare le
insidie della frontiera.
E le macchine, enormi
veicoli che sfrecciano sulle strade, anche in quelle cittadine, perche' la
frontiera non da' tregua, perche’ e’ frontiera anche la citta', con le sue
luci, che devono essere
piu' potenti possibili: devono spezzare l'oscurita' della frontiera,
esorcizzarla;
e sono soprattutto i mezzi
di chi detiene il monopolio della forza, ad avere il compito di affrontare la
frontiera: ed allora le macchine della polizia sfrecciano veloci nella notte
americana con abbaglianti e lampeggianti che fanno piu’ luce di quanta ce n'e'
in un intero quartiere di una metropoli africana.
E le autopattuglie pare
vadano alla guerra tanto sono carrozzate e blindate: ma forse non e' esatto
scrivere pare, perche' alla guerra ci vanno veramente, ci vanno sulla
frontiera, per provare a distruggerla,
ed allora forse non e’ esatto neppure scrivere di
"domare", ma piuttosto di
annientare la frontiera, perche' e'
l'unico modo per vincere quella paura atavica che essa produce, e per trovare
un po' di quiete dell’anima.
“Distruggere la frontiera”: questo forse spiega il passato ed il presente americano, e spiega
lo sterminio dei bufali, il genocidio degli indiani, le guerre, la violenza, le
armi.
Per gli Stati Uniti
profondi sarebbe un tabu’ non avere il pensiero delle armi, dell’attacco e
dell’offesa come miglior risposta ad un pericolo, imminente e probabilmente
immaginario.
C'e' pero’ anche un'altra
America: quella dei Gesuiti, che non avevano paura della frontiera, che non
volevano distruggerla, che ebbero un’altra visione su di essa, perche’ anche la
frontiera e’ frutto dall’amore di Dio, perche’ anche gli indiani che la’
vivevano, erano figli di Dio.
Furono loro, i gesuiti
francesi, ad “esplorare” per primi alcune zone del Nord America, come quelle
dei grandi laghi, tra Michigan e Wisconsin, e furono loro i primi ad entrare in
contatto con le tribu’ indiane degli Ojibway, dei Sioux,
degli Irochesi.
Non li combatterono, non si
allinearono agli interessi politici della Nuova Francia* ( e questo fu’ uno dei
motivi per cui l’ordine fu’ abolito anche in Francia nel 1764), ne studiarono
gli usi ed i costumi, ne studiarono le lingue ed i riti.
Evangelizzarono lasciando molti
di quei riti e di quelle tradizioni dei nativi, insegnarono loro l’astronomia,
le scienze e la medicina, impararono da loro come muoversi e come vivere in
quell’ambiente cosi’ ostile.
Come avvenne in Sud America,
come avvenne nelle Reducciones.
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