Se non fosse per il canale di Suez, probabilmente la citta' di Gibuti non esisterebbe: terra arida, caldo ed umidita' estremi, con temperature che mediamente raggiungono i 40 gradi tutto l'anno, rendono la regione in cui sorge la città, una tra le piu' inospitali sul Pianeta;
il canale che collega Suez a Port Said venne completato nel 1869, anno in cui la prima nave proveniente dal Mediterraneo lo attraverso' raggiungendo il Mar Rosso- e fu' nemmeno 20 anni dopo che i francesi, nel 1888, iniziarono la costruzione del porto e della citta’, fondando anche l'avamposto della legione straniera;
In quell'area di costa, prima del loro arrivo, vivevano solo piccole tribu' nomadi di pastori, gli afar provenienti dall'Etiopia, e gli Issa dalla somalia, mentre i commercianti arabi controllavano la regione.
Strategica allora per i francesi, come snodo cruciale di traffici militari e commerciali tra la madre patria ed i suoi possedimenti coloniali in Indocina,
strategica piu' che mai oggi, e non piu' solo per i transalpini: Stati Uniti, Cina, Giappone, paesi europei e della penisola arabica hanno forti interessi commerciali, strategici e di sicurezza a Gibuti.
Cargo militare all'aeroporto di Djibuti |
Il canale di Suez, da cui transitano il 4,5% dell'export petrolifero mondiale e il 14% dei carichi di Gas naturale liquefatto (Gnl)*;
nel 2015 e' stato raddoppiato, ed oggi quasi il 10% del traffico merci mondiale vi fa' transito*, e questa percentuale e' in continua crescita, proporzionalmente alla crescita delle economie di Cina, India, Sud est asiatico ed estremo oriente: crescita che necessita' di materie prime, di scambi commerciali e di sicurezza, e Gibuti, oltre che hub commerciale di cui beneficia soprattutto l'Etiopia, paese africano con una crescita di pil tra i piu' alti al mondo, intorno al 8% (trainato dagli investimenti cinesi), rappresenta proprio un hub della sicurezza: il suo suolo ospita Camp Lemonnier con 4000 soldati americani, una base francese con 3000mila soldati, basi giapponese, italiana, spagnola, tedesca, eppoi' militari olandesi, inglesi e russi, e gli ultimi arrivati, i cinesi, che pochi mesi fa' hanno inaugurato la loro prima base militare stanziale fuori dai confini nazionali, un enorme distesa di hangar e prefabbricati sul Golfo di Tadjoura, a poche decine di chilometri dalla capitale, in cui, a pieno regime, tra militari, contractors e personale civile, nel 2020 e' previsto saranno ospitati fino a 20mila unita'.
D'altronde l'Africa e' ormai da un ventennio terra di conquista per il dragone cinese, la cui economia ha vitale necessita' di materie prime, e la base ben si inquadra in questa strategia: essere centro nevralgico da cui proteggere gli enormi interessi cinesi nell'area, quelli commerciali in transito attraverso Suez, quelli sull'Africa orientale, di cui la Cina è in assoluto il primo partner commerciale.
Gibuti come fortino a guardia del Mar Rosso e dell’Oceano indiano, da cui, attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb, transita la metà dell’import cinese di petrolio, assieme al 40 per cento del traffico marittimo mondiale.
Le basi occidentali, statunitense e francese in testa, oltre a funzioni logistiche e di missioni antipirateria nelle acque del Golfo di Aden e davanti al Corno d'Africa, hanno anche funzioni di supporto per operazioni speciali contro gruppi terroristici , soprattutto in Somalia , in Yemen, ed in alcune aree del Medio Oriente.
Visita alla base italiana |
Luoghi lontani e periferici dal centro, ma strategici per esso,sono spesso premonitori dell'evolversi della storia, dei rapporti di forza tra stati, forse anche tra civiltà,
Gibuti e' uno di quei luoghi.
Storico avamposto occidentale in una terra inospitale, preda inevitabile di islamizzazione( la popolazione e' ad oggi per piu' del 95% islamica)vista la vicinanza geografica con la penisola arabica (la costa dello Yemen dista poche decine di miglia nautiche dalla costa gibutina),
vede ora giocarsi sul suo campo dinamiche e confronti geopolotici che stanno creando il mondo di domani, qui in parte gia' attuale: Cina ed Islam avanzano progressivamente, riducendo gli spazi occidentali.
A Novembre partiranno i primi treni cinesi che faranno la spola tra Gibuti ed Addis Abeba sulla nuova ferrovia finanziata dal Governo di Pechino, tracciata sul vecchio percorso di quella che venne inaugurata nel 1917 grazie ad investimenti francesi, ferrovia da molti decenni in disuso, e quando il primo treno lascera' la nuova stazione di Djibuti in direzione della capitale etiope, si sancira' un passaggio storico, epocale;
eloquenti, a ben testimoniare questo passaggio di consegne forzato, le condizioni delle due stazioni ferroviare di Gibuti, non lontane una dall'altra: da una parte la nuova stazione costruita dai cinesi, moderna ed operativa - dall'altra la vecchia stazione nel centro della citta, fatiscente ed abbandonata, spettro di quell’ opera francese che ebbe vita breve per i continui conflitti nell’area, per le difficolta’ di manutenzione dovute al dislivello notevole tra altipiano e bassopiano, per l’impossibilita’ di recuperare pezzi di ricambio per treni e ferrovia.
Gibuti-La vecchia, fatiscente ed abbandonata, stazione ferroviaria costruita dai francesi nel 1917 |
Un vero e proprio boom per Gibuti, di cui pero’ beneficiano in pochissimi, solo politici, grandi imprenditori e commercianti legati al governo, per il resto della popolazione le briciole: gli indici di sviluppo relegano il paese tra i piu' poveri al Mondo, con un tasso di disoccupazione al 60 per cento, e l’analfabetismo al 45;
visitando la Caritas se ne ha immediato riscontro: giornalmente sono ospitati decine di bambini di strada, che rappresentano purtroppo una piccolissima percentuale delle centinaia di bambini e ragazzi costretti a vivere senza un tetto sotto cui ripararsi, e giornalmente decine e decine sono gli immigrati ed i profughi in fuga dalla Somalia e dallo Yemen che bussano alla porta dell’organizzazione cattolica in cerca di aiuto.
In aiuto ai profughi in fuga dalle violenze dell’organizzazione islamista di Al Shabaab in Somalia, dai conflitti etnici nel Somailand e dalla Guerra in Yemen,vi sono anche le Nazioni Unite che hanno insediato in Gibuti 3 campi profughi.
Ma ancora piu’ eloquenti sul grave stato di poverta’ in cui versa la maggioranza dei gibutini, sono le condizioni di vita delle popolazioni nomadi che vivono fuori dalla citta’, costretti in ripari di lamiere sotto un sole cocente, con temperature che raggiungono fino ai 50 gradi, in condizioni climatiche ed ambientali estreme, senza elettricita’, spesso senza acqua potabile, senza possibilita’ di far pascolare le capre magrissime con cui dovrebbero sostentarsi, per loro l’unica fonte di sussistenza rimane il latte di dromedario.
Distribuzione vestiti ai profughi somali con Caritas locale |
Eppure il governo di Gibuti, solo per la concessione del terreno per le numerose basi militari straniere, ha introiti di diverse decine di milioni di dollari annui.
Contraddizioni dell'Africa, su cui spesso si giocano interessi ed intrecci da cui e' esclusa la popolazione locale, vittima solo di sfruttamento e corruzione, come mi dice Monsignor Giorgio Bertin, originario di Padova, Vescovo di Gibuti ed amministratore apostolico di Mogadisco uno dei massimi conoscitori di quest'area strategica di Mondo : parla almeno 5 lingue tra cui arabo, francese, inglese e somalo.
Un' area difficile del Mondo, ma strategica un po' per tutti i grandi attori geopolitici mondiali, in cui la Chiesa, nonostante il lavoro della Caritas, la presenza di diverse scuole, i contatti ed il servizio per i militari francesi, italiani, americani che periodicamente si recano alle celebrazioni ed alla Caritas portando aiuti (francesi ed americani hanno poi' i loro cappellani cattolici militari), ha, purtroppo, poca voce in capitolo.
Giuseppe Luca Mantegazza
* fonte ilsole24 ore
Grazie per queste notizie
RispondiEliminaAlmeno apriamo un po'gli occhi e il cuore
Grazie a chi è presente, solidale e attivo, non per interessi privati.