Non esiste realtà che non sia complessa: entrarvici significa afferarne, almeno in piccola parte, i codici che la regolano, le dinamiche che ne scaturiscono, l'antropologia e gli adattamenti che si sono sviluppati, anche a livello culturale e comportamentale, di stili di vita.
Comportamenti e codici sono sempre il risultato, in un continuo dinamismo, di un processo storico, che e' individuale, familiare, sociale, culturale: l'ambiente ci modella e noi modelliamo l'ambiente che viviamo.
Non esistono realtà monolitiche, quelle sono morte, esistono piuttosto realtà poliedriche, e più lo sono (poliedriche) più sono piene di vita, o meglio: più le realtà sono vive e piene di umanità, più sono poliedriche.
Vivo a Palermo da quasi un mese, un tempo ridotto ma sufficiente per qualche impressione: le sensazioni sono davvero intense, i forti odori e profumi della natura e del melting pot, le cristalline e calde acque del Mediterraneo, i colori accesi del cielo al tramonto, i rumori di un'umanità variegata ed energica, ed anche le enormi contraddizioni, compongono una pienezza di vita di cui ci si impregna.
La città è un crogiolo di lingue e di costumi, di volti e di caratteri, di tratti somatici e carnagioni che rimandano al Nord Africa, al Medio Oriente, al Nord Europa, di stili architettonici arabi e normanni che convivono nelle stesse piazze.
D'altronde qui s' incontrarono ( e scontrarono) i normanni che arrivarono da nord, i bizantini da est, i saraceni da sud.
Terra meravigliosa e generosa la Sicilia, città di un fascino raro Palermo, un fascino di contrapposizioni, di paradossi, di oscillazioni continue: camminando per la città, in poche centinaia di metri si passa da aree di un degrado così provocante da far fatica a sentirsi in Europa, a borghi che ricordano i meravigliosi suk di Gerusalemme, ad altri ancora che ricordano centri del Nord Europa.
Un'oscillazione continua, come quando spostandomi a piedi od in bicicletta per le strade della città, ho l'impressione di essere circondato continuamente da atti di prevaricazione e prepotenza: non c'è precedenza che tenga, il più forte, o meglio chi ha la macchina più grande, o comunque chi è più prepotente, vince ed occupa la strada, ed i motorini sbucano da ovunque, senza regole apparenti, infilandosi dappertutto, aimé anche quelli senza dare la precedenza; poi, da contraltare, succede che, prima di salire su un mezzo pubblico, alla fermata del bus chiedendo indicazioni su dove poter comprare il biglietto, le persone in attesa si affannino a darmi indicazioni, ed addirittura una di queste mi porge in omaggio un biglietto non ancora vidimato (non ho insistito più di tanto a volerglielo pagare perché rifiutare un omaggio, un aiuto, è imperdonabile).
Si dirà, succede ovunque, è vero, ma non con questi toni così accesi, non con queste oscillazioni così acute, ed allora di Palermo, almeno nella sua dimensione sociale ed urbana, mi rimane soprattutto una sensazione di diffuso degrado (anche per via dell'immondizia e dei tantissimi rifiuti abbandonati sui marciapiedi) , e di violenza, piu' o meno esplicita, che ne regola alcuni codici e criteri umani, che "emergono" soprattutto nelle realtà più difficili. Un po' come le voragini che ho visto, almeno tre in tre settimane, in tre luoghi distinti, che si aprono, chissà perché, in strade già di forte degrado, come quelle del Borgo Vecchio, quartiere storico di Palermo in cui è inserita la parrocchia missionaria (che si trova di fronte al carcere dell'Ucciardone, che fu, tra le altre cose, palcoscenico di uno storico e blindatissimo maxiprocesso) a cui sono stato destinato per un periodo di esperienza propedeutica al mio cammino di noviziato.
Palermo, città in cui, in alcuni suoi rioni, gli indici di sviluppo si avvicinano più, in una corsa al ribasso, a quelli dei paesi dell' Africa piuttosto che a quelli europei: tra gli altri, altissimi sono il tasso di disoccupazione e di dispersione scolastica (prima dello stato di emergenza per l'epidemia di covid, il primo indicatore era quasi del 20% , quasi il doppio di quello medio in Italia, mentre il secondo quasi al 40%, ad indicare il triste primato in Italia di studenti perduti tra i banchi di scuola, praticamente due su cinque abbandonano le scuole dell'obbligo).
Nelle prime immagini di un film sul beato Don Pino Puglisi, parroco del quartiere di Brancaccio, alcuni ragazzini, formati ed istigati da figure di manovalanza, non certo comprimari, di organizzazioni dedite a traffici che fanno girare pezzi di economia e di potere globale, tanto potenti da condizionare politiche nazionali e probabilmente anche scelte geopolitiche, davano in pasto degli innocenti gattini a cani addestrati per lotte clandestine, tenuti appositamente a digiuno. La violenza come linguaggio, come paradigma di potere, sopraffazione e controllo. Come stile che regola relazioni sociali.
Un codice che s'impara presto in certi quartieri: appena arrivato qui al Borgo Vecchio, la magistratura palermitana emetteva una sentenza di condanna a 140 anni di carcere distribuiti su 17 persone accusate di spaccio di droga, in cui venivano "impiegati", o meglio dire obbligati, anche bambini (operazione push away della Polizia di stato https://www.palermotoday.it/cronaca/spaccio-droga-borgo-arresti-push-away-condanne.html)
Un codice, quello della violenza, tenuto poco nascosto, spesso esibito, anche solo nei toni di voce aggressivi, nelle grida frequenti nelle strade, in spiaggia, ovunque ci sia umanità, se non paghi i parcheggiatori abusivi ti ritrovi la macchina bozzata, oppure se ti fermi a guardare con insistenza (e stupore) ragazzini che addestrano tranquillamente nelle strade del quartiere un giovane cavallo frustrandolo e maltrattandolo, probabilmente per allenarlo alle corse clandestine, rischi di essere tu l'oggetto della violenza.
La violenza è nella sua natura prepolitica, ha regolato i rapporti di forza tra uomini fin dalle origini; fu Gesù, profeta che veniva da Nazareth, periferia estrema di un sistema politico e militare, quello dell'impero romano, dominato dalla forza e dalla violenza, uno dei primi a testimoniare con un forte seguito, che era possibile spezzare questo paradigma, ossia che era possibile, anzi indispensabile per avere vita piena, vivere tra fratelli, privilegiando i più piccoli, i più esclusi, gli ultimi.
Fu poi l'illuminismo a rimettere al centro i diritti dell'uomo, e l'idea di una società slegata dalla sopraffazione dei più forti sui più deboli attraverso la violenza, concorrendo alla rivoluzione francese con il suo motto "Liberté, Égalité, Fraternité".
Mi sono chiesto, camminando in queste strade, come sia possibile, come emerge spesso da cronache locali e nazionali, che persone provenienti dalla buona ed alta borghesia, laureati nelle migliori università, magari a Milano, magari a capo di imprese milionarie, se la facciano in tresche con sgherri e violenti nati in contesti degradati, come alcuni di questi rioni palermitani.
Non che la provenienza sia un metro di giudizio, o peggio di condanna, ma sarebbe auspicabile che due mondi così separati e distanti, si parlassero e si mischiassero in progetti di bene, di sviluppo umano, di pari opportunità. Purtroppo succede il più delle volte il contrario, ossia che i due mondi, quello ricco delle belle villette del nord, s'incontri con persone di quest'altro mondo, povero e degradato, per perseguire vie di male ed illegalità, di traffici e di potere economico e finanziario, di conseguenza politico.
La violenza dunque, che è prepolitica, istintiva, animalesca, viene messa al servizio di logiche "politiche", "economiche", di potere.
Chissà, forse le bellezze e le ricchezze di questa terra, capace di produrre frutti e prodotti così succulenti e saporiti, che sono alla base di una cucina ricca, prelibata e godereccia, di questo mare così invitante, quieto e lieto (non è certo il freddo e tempestoso atlantico di cui scrivevo in precedenti lettere), o forse solo per il fatto di essere un' isola al centro della civiltà mediterranea, storicamente il centro del mondo, che la Sicilia è sempre stata tanto ambita, da conquistare, con forza e violenza. Forse è proprio questa storia così complessa ad aver generato contemporaneamente codici chiusissimi (come il dialetto palermitano) ed anche di violenza, insieme a straordinarie capacità di apertura, solidarietà ed accoglienza.
Solidarietà e spirito d' accoglienza rare, prevaricazione e prepotenza diffuse, insieme, veicolati il più delle volte in temperamenti umani molto sanguigni.
Terra di frontiera piu' che di periferia, dove i mali, che altrove, nei centri, sono già meno visibili perché inglobati e strutturati, qui sono palesati e visibilissimi, così come lo sono gli anticorpi, presenti ed attivi nella lotta agli stessi mali.
Strutturare questi anticorpi, renderli modelli nel centro, partendo proprio da queste realtà così provocanti e difficili, ma autentiche e reali, credo sia percorso obbligato per costruire sistemi più giusti ed inclusivi, non violenti ed ecologici.
Giuseppe L. Mantegazza
E' possibile, attraverso i paradossi, come per una radiografia, avere un metodo con cui guardare alle realtà.
Qui sotto riporto due citazioni su Palermo di due teutonici (forse rispettivamente il più grande regista ed il più grande scrittore tedeschi di sempre), quindi per strutture di società ed anche culturali di provenienza, così agli antipodi rispetto alle strutture ed alle realtà di qui:
"Non credo di conoscere nessun altra città in cui il senso della vita è così forte. Forse perché è altrettanto forte il senso della morte" (Wim Wenders).
"Nel giardino pubblico vicino al porto, trascorsi tutto da solo alcune ore magnifiche. È il posto più stupendo del mondo […] Monte Pellegrino è Il promontorio più bello del mondo.Chi ha visto una volta il cielo di Palermo non potrà mai più dimenticarlo.
Non saprei descrivere con parole la luminosità vaporosa che fluttuava intorno alle coste quando arrivammo a Palermo in un pomeriggio stupendo. La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra… chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita". (Wolfgang Goethe)
Una preghiera che ho letto (anonimo l'autore) a Santa Rosalia, patrona di Palermo:
"Piangi Palermo, piangi Sicilia.
Piangi perché terra abbandonata, priva del senso civile.
Piangi per una politica assente.
Piangi per uno stato assente.
Piangi perché priva di regole, piangi ancora su te stessa.
Terra abituata alle lacrime e al dolore.
Altra speranza è morta per questa terra, questi funerali, tra applausi e slogan, sono segno che non riusciamo a vedere quanto è drammatica questa terra, quanto è terribile ciò che accade. Terra come sepolcro imbiancato.
Possiamo essere capitale della cultura, possiamo ospitare tutte le cose belle, ma tutto ciò rischia di offuscare, di mettere la polvere sotto il tappeto.
Rinasceremo, ma non oggi!"
Comportamenti e codici sono sempre il risultato, in un continuo dinamismo, di un processo storico, che e' individuale, familiare, sociale, culturale: l'ambiente ci modella e noi modelliamo l'ambiente che viviamo.
Non esistono realtà monolitiche, quelle sono morte, esistono piuttosto realtà poliedriche, e più lo sono (poliedriche) più sono piene di vita, o meglio: più le realtà sono vive e piene di umanità, più sono poliedriche.
Vivo a Palermo da quasi un mese, un tempo ridotto ma sufficiente per qualche impressione: le sensazioni sono davvero intense, i forti odori e profumi della natura e del melting pot, le cristalline e calde acque del Mediterraneo, i colori accesi del cielo al tramonto, i rumori di un'umanità variegata ed energica, ed anche le enormi contraddizioni, compongono una pienezza di vita di cui ci si impregna.
La città è un crogiolo di lingue e di costumi, di volti e di caratteri, di tratti somatici e carnagioni che rimandano al Nord Africa, al Medio Oriente, al Nord Europa, di stili architettonici arabi e normanni che convivono nelle stesse piazze.
D'altronde qui s' incontrarono ( e scontrarono) i normanni che arrivarono da nord, i bizantini da est, i saraceni da sud.
Terra meravigliosa e generosa la Sicilia, città di un fascino raro Palermo, un fascino di contrapposizioni, di paradossi, di oscillazioni continue: camminando per la città, in poche centinaia di metri si passa da aree di un degrado così provocante da far fatica a sentirsi in Europa, a borghi che ricordano i meravigliosi suk di Gerusalemme, ad altri ancora che ricordano centri del Nord Europa.
Un'oscillazione continua, come quando spostandomi a piedi od in bicicletta per le strade della città, ho l'impressione di essere circondato continuamente da atti di prevaricazione e prepotenza: non c'è precedenza che tenga, il più forte, o meglio chi ha la macchina più grande, o comunque chi è più prepotente, vince ed occupa la strada, ed i motorini sbucano da ovunque, senza regole apparenti, infilandosi dappertutto, aimé anche quelli senza dare la precedenza; poi, da contraltare, succede che, prima di salire su un mezzo pubblico, alla fermata del bus chiedendo indicazioni su dove poter comprare il biglietto, le persone in attesa si affannino a darmi indicazioni, ed addirittura una di queste mi porge in omaggio un biglietto non ancora vidimato (non ho insistito più di tanto a volerglielo pagare perché rifiutare un omaggio, un aiuto, è imperdonabile).
Si dirà, succede ovunque, è vero, ma non con questi toni così accesi, non con queste oscillazioni così acute, ed allora di Palermo, almeno nella sua dimensione sociale ed urbana, mi rimane soprattutto una sensazione di diffuso degrado (anche per via dell'immondizia e dei tantissimi rifiuti abbandonati sui marciapiedi) , e di violenza, piu' o meno esplicita, che ne regola alcuni codici e criteri umani, che "emergono" soprattutto nelle realtà più difficili. Un po' come le voragini che ho visto, almeno tre in tre settimane, in tre luoghi distinti, che si aprono, chissà perché, in strade già di forte degrado, come quelle del Borgo Vecchio, quartiere storico di Palermo in cui è inserita la parrocchia missionaria (che si trova di fronte al carcere dell'Ucciardone, che fu, tra le altre cose, palcoscenico di uno storico e blindatissimo maxiprocesso) a cui sono stato destinato per un periodo di esperienza propedeutica al mio cammino di noviziato.
Palermo, città in cui, in alcuni suoi rioni, gli indici di sviluppo si avvicinano più, in una corsa al ribasso, a quelli dei paesi dell' Africa piuttosto che a quelli europei: tra gli altri, altissimi sono il tasso di disoccupazione e di dispersione scolastica (prima dello stato di emergenza per l'epidemia di covid, il primo indicatore era quasi del 20% , quasi il doppio di quello medio in Italia, mentre il secondo quasi al 40%, ad indicare il triste primato in Italia di studenti perduti tra i banchi di scuola, praticamente due su cinque abbandonano le scuole dell'obbligo).
Nelle prime immagini di un film sul beato Don Pino Puglisi, parroco del quartiere di Brancaccio, alcuni ragazzini, formati ed istigati da figure di manovalanza, non certo comprimari, di organizzazioni dedite a traffici che fanno girare pezzi di economia e di potere globale, tanto potenti da condizionare politiche nazionali e probabilmente anche scelte geopolitiche, davano in pasto degli innocenti gattini a cani addestrati per lotte clandestine, tenuti appositamente a digiuno. La violenza come linguaggio, come paradigma di potere, sopraffazione e controllo. Come stile che regola relazioni sociali.
Un codice che s'impara presto in certi quartieri: appena arrivato qui al Borgo Vecchio, la magistratura palermitana emetteva una sentenza di condanna a 140 anni di carcere distribuiti su 17 persone accusate di spaccio di droga, in cui venivano "impiegati", o meglio dire obbligati, anche bambini (operazione push away della Polizia di stato https://www.palermotoday.it/cronaca/spaccio-droga-borgo-arresti-push-away-condanne.html)
Un codice, quello della violenza, tenuto poco nascosto, spesso esibito, anche solo nei toni di voce aggressivi, nelle grida frequenti nelle strade, in spiaggia, ovunque ci sia umanità, se non paghi i parcheggiatori abusivi ti ritrovi la macchina bozzata, oppure se ti fermi a guardare con insistenza (e stupore) ragazzini che addestrano tranquillamente nelle strade del quartiere un giovane cavallo frustrandolo e maltrattandolo, probabilmente per allenarlo alle corse clandestine, rischi di essere tu l'oggetto della violenza.
La violenza è nella sua natura prepolitica, ha regolato i rapporti di forza tra uomini fin dalle origini; fu Gesù, profeta che veniva da Nazareth, periferia estrema di un sistema politico e militare, quello dell'impero romano, dominato dalla forza e dalla violenza, uno dei primi a testimoniare con un forte seguito, che era possibile spezzare questo paradigma, ossia che era possibile, anzi indispensabile per avere vita piena, vivere tra fratelli, privilegiando i più piccoli, i più esclusi, gli ultimi.
Fu poi l'illuminismo a rimettere al centro i diritti dell'uomo, e l'idea di una società slegata dalla sopraffazione dei più forti sui più deboli attraverso la violenza, concorrendo alla rivoluzione francese con il suo motto "Liberté, Égalité, Fraternité".
Mi sono chiesto, camminando in queste strade, come sia possibile, come emerge spesso da cronache locali e nazionali, che persone provenienti dalla buona ed alta borghesia, laureati nelle migliori università, magari a Milano, magari a capo di imprese milionarie, se la facciano in tresche con sgherri e violenti nati in contesti degradati, come alcuni di questi rioni palermitani.
Non che la provenienza sia un metro di giudizio, o peggio di condanna, ma sarebbe auspicabile che due mondi così separati e distanti, si parlassero e si mischiassero in progetti di bene, di sviluppo umano, di pari opportunità. Purtroppo succede il più delle volte il contrario, ossia che i due mondi, quello ricco delle belle villette del nord, s'incontri con persone di quest'altro mondo, povero e degradato, per perseguire vie di male ed illegalità, di traffici e di potere economico e finanziario, di conseguenza politico.
La violenza dunque, che è prepolitica, istintiva, animalesca, viene messa al servizio di logiche "politiche", "economiche", di potere.
Chissà, forse le bellezze e le ricchezze di questa terra, capace di produrre frutti e prodotti così succulenti e saporiti, che sono alla base di una cucina ricca, prelibata e godereccia, di questo mare così invitante, quieto e lieto (non è certo il freddo e tempestoso atlantico di cui scrivevo in precedenti lettere), o forse solo per il fatto di essere un' isola al centro della civiltà mediterranea, storicamente il centro del mondo, che la Sicilia è sempre stata tanto ambita, da conquistare, con forza e violenza. Forse è proprio questa storia così complessa ad aver generato contemporaneamente codici chiusissimi (come il dialetto palermitano) ed anche di violenza, insieme a straordinarie capacità di apertura, solidarietà ed accoglienza.
Solidarietà e spirito d' accoglienza rare, prevaricazione e prepotenza diffuse, insieme, veicolati il più delle volte in temperamenti umani molto sanguigni.
Terra di frontiera piu' che di periferia, dove i mali, che altrove, nei centri, sono già meno visibili perché inglobati e strutturati, qui sono palesati e visibilissimi, così come lo sono gli anticorpi, presenti ed attivi nella lotta agli stessi mali.
Strutturare questi anticorpi, renderli modelli nel centro, partendo proprio da queste realtà così provocanti e difficili, ma autentiche e reali, credo sia percorso obbligato per costruire sistemi più giusti ed inclusivi, non violenti ed ecologici.
Giuseppe L. Mantegazza
E' possibile, attraverso i paradossi, come per una radiografia, avere un metodo con cui guardare alle realtà.
Qui sotto riporto due citazioni su Palermo di due teutonici (forse rispettivamente il più grande regista ed il più grande scrittore tedeschi di sempre), quindi per strutture di società ed anche culturali di provenienza, così agli antipodi rispetto alle strutture ed alle realtà di qui:
"Non credo di conoscere nessun altra città in cui il senso della vita è così forte. Forse perché è altrettanto forte il senso della morte" (Wim Wenders).
"Nel giardino pubblico vicino al porto, trascorsi tutto da solo alcune ore magnifiche. È il posto più stupendo del mondo […] Monte Pellegrino è Il promontorio più bello del mondo.Chi ha visto una volta il cielo di Palermo non potrà mai più dimenticarlo.
Non saprei descrivere con parole la luminosità vaporosa che fluttuava intorno alle coste quando arrivammo a Palermo in un pomeriggio stupendo. La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra… chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita". (Wolfgang Goethe)
Una preghiera che ho letto (anonimo l'autore) a Santa Rosalia, patrona di Palermo:
"Piangi Palermo, piangi Sicilia.
Piangi perché terra abbandonata, priva del senso civile.
Piangi per una politica assente.
Piangi per uno stato assente.
Piangi perché priva di regole, piangi ancora su te stessa.
Terra abituata alle lacrime e al dolore.
Altra speranza è morta per questa terra, questi funerali, tra applausi e slogan, sono segno che non riusciamo a vedere quanto è drammatica questa terra, quanto è terribile ciò che accade. Terra come sepolcro imbiancato.
Possiamo essere capitale della cultura, possiamo ospitare tutte le cose belle, ma tutto ciò rischia di offuscare, di mettere la polvere sotto il tappeto.
Rinasceremo, ma non oggi!"
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