Zona Di Guerra.
E`un flusso continuo, come una marea
inarrestabile, quello dei migranti che provano ad entrare negli Stati
Uniti D`America: tra loro non solo latino americani, ma sempre piu'
frequentemente anche numerosi gruppi di africani e sparuti di mediorientali: un flusso annuale di centinaia di migliaia di
uomini, donne e bambini che si assiepano lungo la barriera di
confine, provenienti per la maggior parte dal Centro-America, Honduras,
Salvador ed Haiti in testa, flusso che va`ad aggiungersi a quello incessante
dei messicani deportati al di fuori dei confini statunitensi, perche`
indocumentati o perche' condannati, per lo piu' per reati gravi come
omicidio, rapine a mano armata, violenze sessuali e violenze domestiche, anche
se a volte basta una multa non pagata, una rissa o un qualsiasi reato
minore a far scattare l’espulsione dagli USA, che operano centinaia di migliaia
di rimpatri all'anno di residenti irregolari sul proprio suolo e di condannati,
che una volta scontata la pena nelle carceri, vengono trasportati su bus o
imbarcati su aerei che quotidianamente "accompagnano" gli
indesiderati fuori dal suolo statunitense.
I messicani vengono deportati al di la' del confine, in luoghi strategici
che coprono tutto l'asse che divide il Nord America dall'America Latina,
un confine di piu' di 3000 km dal Pacifico al Golfo del
Messico, rispettivamente da Ovest ad Est le citta`in cui vengono
rimpatriati sono: Tijuana, Mexicali, Nogales, Ciudad Juarez, Ciudad Acuna,
Nuevo Laredo e Matamoros, tutti luoghi in cui sono stati eretti muri a
protezione degli Stati Uniti , ma anche, quasi fosse una beffa, gli stessi da
cui partono le rotte delle centinaia di migliaia di persone che annualmente
provano ad entrare, o rientrare, illegalmente in Nord America.
Oltre al muro, che non arriva a coprire un terzo dell'intero confine,
droni, elicotteri, sistemi satellitari, pattuglie aeree, navali e terrestri, di
militari e di paramilitari dotati di visori notturni ed armi sofisticate,
provano quotidianamente ad arrestare una traversata biblica, che parte anche da
migliaia di km piu' a Sud, attraverso rotte marittime che solcano il Pacifico
ed il Golfo del Messico, attraverso rotte terrestri che oltrepassano
deserti cocenti, che valicano passi di montagne aride, rotte
tracciate da piccole imbarcazioni nel mare, che salpano da anfratti
nascosti sulle coste messicane, tracciate a piedi lungo sentieri di
centinaia di km attraverso il deserto di Sonora, attraverso le montagne
della Sierra del Chihuahua, rotte tracciate dai treni della Bestia, la
famigerata e pericolosissima linea ferroviaria che attraversa il Messico da Sud
a Nord, dal Chiapas al confine con il Guatemala, fino al confine con la
California, l' Arizona, il New Mexico, il Texas.
Rotte che terminano al di' la del muro, in territorio Statunitense: a San
Diego, a Yuma, ad El Paso, a Laredo, dove i migranti "finalmente"
possono iniziare una nuova vita, da clandestini, fatta di tanto lavoro e
sfruttamento, che pero`consente loro di ricevere salari che nei paesi di
provenienza si sognerebbero, perche' in Honduras o Guatemala, o nello stesso
Messico, uno stipendio mensile difficilmente arriva a 500 dollari, mentre negli
Stati Uniti e`di almeno tre volte superiore.
Rotte utilizzate da centinaia di migranti l'anno, che si
di riempiono di corpi umani, poi' si svuotano, si chiudono e spariscono, e
poi' si riaprono di nuovo, il tutto nel giro di pochi giorni, perche' i
coyotes, i passatori, spesso legati ai cartelli del narcotraffico, stabiliscono
le rotte, in questa continua rincorsa con chi dovrebbe impedire il passaggio
illegale della frontiera, come fosse un gioco da guardie e ladri, con una
continua conta di numeri, di saldi passivi od attivi da incasellare in qualche
statistica, forse precisa per quel che riguarda i dati dei respingimenti
effettuati dalle autorita`americane, comunque incapace di registrare un
fenomeno di portata antropologica, perche`quando a migrare sono milioni e
milioni di persone, i paradigmi e le categorie della politica, forse anche della
geopolitica, non sono sufficienti.
Ma oltre all' insufficienza di comprensione e quindi di risposte delle
istituzioni nazionali e sovrannazionali, e' bene ricordare che non ci si trova
di fronte ad un gioco: quelle rotte, o meglio quelle linee come fossero sciami,
sono tracciate da persone, uomini, donne e bambini, sono tracciate da persone che rincorrono il
desiderio di una condizione economica migliore, come nel caso degli haitiani,
che in questo ultimo periodo si stanno riversando in massa verso il confine, spinti
dalla concreta possibilita' di ottenere lo status di rifugiati negli Usa,
spinti dalla necessita' di emigrare da un Brasile in piena crisi economica e
politica (la maggior parte degli haitiani che si ammassano sul confine per
entrare in Usa provengono dal Brasile, dove lavoravano nelle costruzioni per i
mondiali e per l' olimpiade di Rio), sono tracciate dai molti
che fuggono da vere e proprie zone di guerra - come l' Honduras ed il
Salvador, paesi in cui le faide e gli scontri tra i diversi gruppi di pandillas
lasciano a terra migliaia di vittime tra qui moltissimi innocenti- come
molte regioni dello stesso Messico, dal Sinaloa al Guerrero, dove i cartelli
dei Narcos controllano i territori con la violenza e la sopraffazione,
il
Messico in quelle regioni e` zona di guerra, una guerra che produce migliaia di
vittime l'anno.
Nelle
zone di confine con gli States, come a Tijuna, ogni anno, oltre ai deportati
dalle autorita' statunitensi, si riversano centinaia di migliaia di profughi di
queste guerre dei narcos; i cartelli controllano il territorio con la violenza
piu' efferata soprattutto nelle regioni del Guerrero e del Sinaloa, e’ soprattutto da li' che arrivano i migranti
messicani, tra loro anche molte donne e bambini che hanno perso padri e mariti,
vittime della guerra dei narcos, che percorrono centinaia di km a piedi nel
tentativo di raggiungere gli Stati Uniti.
Ma la
violenza non si arresta sul cammino di speranza verso gli Usa, anzi, spesso e'
proprio durante il viaggio, perche' piu' vulnerabili, che i migranti subiscono
violenze di tutti i tipi, dagli stessi coyotes, che spesso prendono i loro
soldi e si dileguano lasciandoli soli in balia del deserto, dai narcos che non
vogliono vedersi sovrapporre le loro rotte di traffici illegali con quelle dei
migranti,
cosi' sono migliaia le vittime di queste violenze: la Commissione Messicana dei Diritti Umani (CNDH) ha calcolato che vi sono, in media, 20.000 sequestri di migranti ogni anno, migliaia gli stupri, centinaia di migranti inghiottiti in questo abisso e spariti nel nulla, molti di questi sono minori.
cosi' sono migliaia le vittime di queste violenze: la Commissione Messicana dei Diritti Umani (CNDH) ha calcolato che vi sono, in media, 20.000 sequestri di migranti ogni anno, migliaia gli stupri, centinaia di migranti inghiottiti in questo abisso e spariti nel nulla, molti di questi sono minori.
Tijuana.
Tijuana sorge sul punto piu’ occidentale dell intera America Latina,
e’ un’agglomerato urbano con una densita’ di abitanti elevatissima, che si
interrompe in prossimita’ del
muro, come fosse un ferita da taglio sulla terra: un muro surreale ed
inquietante, cosi' come lo sono i continui passaggi di mezzi della Border
Patrol, di droni, di voli 24 ore su 24 di elicotteri militari che pattugliano
questo lembo di terra e di Oceano che separa il Nord dal Sud Del Mondo, il
confine piu' militarizzato sul pianeta insieme a quello che separa Israele
dalla West Bank e da Gaza.
Un muro che separa padri da figli, figli da madri, separa fratelli da sorelle, mogli dai mariti, e che spezza vite umane: negli ultimi 5 anni sono state migliaia le vittime tra le centinaia di migliaia che hanno provano ad attraversarlo illegalmente, tentando la sorte in aree impervie come il Deserto di Sonora, od attraversando zone controllate dai cartelli del narcotraffico.
Un muro che separa padri da figli, figli da madri, separa fratelli da sorelle, mogli dai mariti, e che spezza vite umane: negli ultimi 5 anni sono state migliaia le vittime tra le centinaia di migliaia che hanno provano ad attraversarlo illegalmente, tentando la sorte in aree impervie come il Deserto di Sonora, od attraversando zone controllate dai cartelli del narcotraffico.
A Tijuana vivono centinaia di migliaia
tra richiedenti asilo, migranti e deportati, quasi tutti occupati
nelle maquiladoras, fabbriche a cui viene subappaltato il lavoro di molte
multinazionali stranieri, soprattutto americane, che qui beneficiano
di manodopera a bassissimo costo ed esenzioni fiscali;
La manodopera, va’ da se, viene sfruttata il piu’
possibile, almeno dieci/dodici ore al giorno di lavoro di giovanissimi, donne e
migranti (molti messicani e clandestini in paziente attesa di valicare il
confine) in cambio di un salario che mediamente e’ intorno ai 300 dollari mensili.
I diritti e le tutele per questi
lavoratori sono quasi del tutto inesistenti, non c’è crescita dei salari,
non esistono contratti lavorativi e gli abusi sono all’ordine del giorno per
questa manodopera usa e getta, ideale per un luogo di frontiera
qual'e' Tijuana.
“Tequila, sesso e Marijuana” cantava
Manu Chao in una delle sue canzoni piu’ conosciute dal titolo “Bienvenido a
Tijuana”, ed in effetti molti sono i giovani americani che attraversano il
confine ogni fine settimana a comprare sesso dalle numerose prostitute dei
locali notturni della zona norte della citta’, a comprare droga ed a comprare alcol,
che in Messico, a differenza degli Usa dove e’ vietato ai minori di 21 anni, e’
di libera vendita anche per i diciottenni.
Tijuana non nega la sua fama, affollata
com’e’ di migranti in attesa di varcare il confine, di deportati dagli Stati
Uniti, di narcotrafficanti e di giovani americani in cerca di sballo e
divertimento: un luogo dove torbide domande incontrano altrettanto torbide
offerte.
Ma Tijuana non e’ abitata solamente da
un’umanita’ devastata ed abbandonata.
Storie Di Frontiera.
C’e’ dell’altro a Tiujana, c’e’ soprattutto un’umanita’ in cerca di riscatto, in cerca di una nuova opportunita’, un’umanita’ carica di speranza:
Juan ha dodici anni ed e' cittadino
statunitense.
Si trova in Messico, in una struttura di accoglienza, perche' il padre e la madre sono stati deportati dagli Usa.
Vivevano tutti e tre in California, a San Bernardino, poco lontano da Los Angeles, il padre di Juan, avendo la residenza negli Stati Uniti, dieci anni fa' servi’ nel corpo dei Marines, prendendo parte a diverse missioni all’estero, anche in Iraq.
Rientrato dalle missioni aveva iniziato a bere, e dopo due fermi di polizia e due arresti per stato di ebrezza durante la guida, le autorita' statunitensi gli hanno revocato il permesso di residenza, e subito deportato fuori dai confini, a Tiujana.
La moglie, anche lei con un permesso di residenza, ed il figlio Juan, lui cittadino degli Stati Uniti perche' nato in California (negli Usa vige lo Ius Soli) sono stati costretti a rientrare in Messico accanto al padre, che ora lavora in una maquiladoras, luogo di lavoro per molti messicani e clandestini in paziente attesa di valicare il confine, per 2 dollari l'ora (almeno 10 h al giorno x 5 gg settimanali).
Cosa sogna Juan? Di rientrare al piu' presto negli Usa, ritrovare i suoi amici, riprendere la scuola a San Bernardino, e tra qualche anno entrare nei Marines, proprio come suo padre.
Sono centinaia gli ex militari americani (perche' senza cittadinanza statunitense) deportati fuori dai confini nazionali, dopo aver compiuto reati e violenze legati soprattutto alla Sindrome post-traumatica da stress o nevrosi da guerra.
Si trova in Messico, in una struttura di accoglienza, perche' il padre e la madre sono stati deportati dagli Usa.
Vivevano tutti e tre in California, a San Bernardino, poco lontano da Los Angeles, il padre di Juan, avendo la residenza negli Stati Uniti, dieci anni fa' servi’ nel corpo dei Marines, prendendo parte a diverse missioni all’estero, anche in Iraq.
Rientrato dalle missioni aveva iniziato a bere, e dopo due fermi di polizia e due arresti per stato di ebrezza durante la guida, le autorita' statunitensi gli hanno revocato il permesso di residenza, e subito deportato fuori dai confini, a Tiujana.
La moglie, anche lei con un permesso di residenza, ed il figlio Juan, lui cittadino degli Stati Uniti perche' nato in California (negli Usa vige lo Ius Soli) sono stati costretti a rientrare in Messico accanto al padre, che ora lavora in una maquiladoras, luogo di lavoro per molti messicani e clandestini in paziente attesa di valicare il confine, per 2 dollari l'ora (almeno 10 h al giorno x 5 gg settimanali).
Cosa sogna Juan? Di rientrare al piu' presto negli Usa, ritrovare i suoi amici, riprendere la scuola a San Bernardino, e tra qualche anno entrare nei Marines, proprio come suo padre.
Sono centinaia gli ex militari americani (perche' senza cittadinanza statunitense) deportati fuori dai confini nazionali, dopo aver compiuto reati e violenze legati soprattutto alla Sindrome post-traumatica da stress o nevrosi da guerra.
Abigail viene da Uatla Morelos, una
piccola cittadina ad un centinaio di km a Sud della Capitale Ciudad De
Mexico, e' una ragazza madre di due maschietti, il piu' piccolo Axel di 5
mesi, il piu' grande Isaac di 5 anni.
Ha percorso quasi tremila km, tanto e`la
distanza che separa il luogo in cui e' nata ed ha vissuto per 22 anni, da
Tijuana, una distanza coperta solo in parte con gli autobus, perche' Abigail,
con in braccio i due bimbi, ha percorso molte centinaia di km a piedi,
impiegando quasi tre mesi per raggiungere il tanto agognato confine con gli
Stati Uniti D'America.
Ha camminato per giorni e giorni tenendo
in braccio Axel, il suo piccolo di pochi mesi, mentre Isaac gia' perdeva la sua
infanzia, in un cammino oltraggioso per un bimbo di appena 5 anni.
Vive da piu' di un mese in un centro di
accoglienza per rifugiate ed immigrate a Tijuana, aspettando il colloquio con
un funzionario della dogana statunitense, perche', ovviamente, la sua meta sono
gli Stati Uniti, dove vorrebbe ricongiungersi con tre dei suoi fratelli che
vivono nel Nord-Est.
Abigal mi ha pero’ assicurato che
se andasse male il colloquio con il funzionario della dogana statunitense
che approva o meno i visti ed i permessi d'ingresso, com' e' piu' che
probabile l' ammonisco io, - non proverebbe comunque ad attraversare la
frontiera illegalmente per raggiungere gli Stati Uniti; in ogni caso, che il suo
intento di tornare a Uatla Morelos con i suoi due piccoli, sia vero o
meno, la sua storia e' identica a quella di migliaia di donne che ogni anno
provano ad attraversare la frontiera per raggiungere gli Stati Uniti, per
ricongiungersi a mariti, fratelli, cugini.
Nel tentativo di passare illegalmente il
confine, ogni anno muoiono migliaia di persone, molte di queste, soprattutto
donne, scompaiono nel nulla.
A settembre 2014 sono state
rinvenute 60 fosse comuni contenenti i resti di centinaia di persone, negli
ultimi 8 anni in Messico, soprattutto nelle zone di confine, sono stati
trovati piu' di 1.200 cadaveri in decine di fosse comuni.
Prince e' del Ghana, ha lasciato il suo Paese quasi 6 mesi fa' prendendo
un volo per Lima, da li' e' iniziata la sua odissea: Equador, Colombia, Panama,
Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, Mexico.
Ha attraversato giungle a piedi, guadato fiumi, cambiato decine di
autobus, ha percorso piu' di 10mila km (come se avesse attraversato da Sud a
Nord l'Italia per ben 10 volte).
E' magrissimo, ha una gamba malandata ed una vistosa dermatite su tutto
il corpo, i suoi occhi sono si' lucidi di sfinimento, ma ancora carichi di
speranza.
La sua speranza e' di riuscire a
superare il confine ed entrare negli Stati Uniti D'America,
e di dimenticare il viaggio carico di
sofferenza e di violenza, come quella che ha subito dai ladrones in Nicaragua
che gli hanno rubato i soldi , e quella che ha subito dai poliziotti che
l'hanno picchiato in uno dei Paesi che ha attraversato.
Ramon e’ nato in un paesino del
Michoacan, ha 25 anni, sei anni fa’ ha attraversato la frontiera illegalmente,
raggiungendo un cugino a Tucson, in Arizona, dove illegalmente ha vissuto e
lavorato fino a quando e’ stato scoperto durante un controllo di polizia, e
deportato a Tijuana tre mesi fa’: mesi difficili, di duro lavoro in una
maquiladoras, sempre con quel pensiero fisso di tornare negli Usa, a qualsiasi
costo, in qualsiasi modo, anche, di nuovo, illegalmente.
Ed a Tijuana l’occasione arriva facile,
basta far girare la voce, tra i colleghi, tra gli amici, nei locali, ed i
coyotes spuntano come funghi, pronti a vendere pacchetti personalizzati, 5mila,
6mila, anche 7-8mila dollari per attraversare la frontiera: ”Passiamo da
Mexicali, una notte di cammino, e’ sicuro, mi dai la meta’ subito, la meta’
quando sarai al sicuro negli Stati Uniti” gli dice con risolutezza il coyote,
lui accetta, gli risponde che la prima meta’ ce l’ha a disposizione, mentre per
l’altra meta’ sara’ suo cugino negli Usa a pagare, con un trasferimento di
contanti, ma solo quando avra’ la certezza che Ramon stia bene e che si trovi
realmente sul suolo statunitense, “va bene” gli conferma il coyote.
La notte stessa sono in due a guidarlo
fino al muro, attraverso valichi di monti desertici da cui si vedono le luci di
Mexicali, lo aiutano a scavalcare in una zona dove le protezioni sono piu’
facilmente valicabili, gli danno un telefonino in mano, gli impartiscono
l’ordine di andare dritto in una direzione per 3-4 km, mezz’ora di tempo, dopo
di che ricevera’ una telefonata.
Cosi’ Ramon esegue, si mette di nuovo in
marcia, la telefonata arriva dopo poco piu’ di mezz’ora, uno squillo sul
telefonino anticipa una voce rauca: “lo vedi quel monte? Bene, prosegui in
quella direzione, stiamo venendo a prenderti”, cosi’ prosegue il cammino, fino
a quando sente un rumore di un fuoristrada che si avvicina a fari spenti, sono
loro, due complici dei coyotes di prima, gli ordinano di salire sulla
macchina rapidamente, Ramon esegue,
ora si sente al sicuro, pensa di essere
in salvo, di avercela fatta di nuovo, di essersi fatto beffa del muro, della
Border Patrol e di tutto quell’assurdo sistema di separazione,
ma da quel momento per lui inizia
un’incubo peggiore, i 2 coyotes sono fatti di crystal, una droga a base di
anfetamina, e sono eccitati, sono sospettosi, paranoici, vogliono subito il
resto dei soldi, Ramon gli replica che non li ha, che deve chiamare suo cugino,
tenta di rassicurarli, gli dice che domani li avra’, i coyotes si
spazientiscono ancor di piu’, pensano che la Border Patrol sia nelle vicinanze,
quindi, vero o meno che sia, decidono di condurlo in una casa, dove lo
minacciano di morte piu’ volte e ripetutamente lo colpiscono con il calcio di
una pistola.
Quando i coyotes in preda alla droga paiono
abbandonare i sensi, Ramon riesce a fuggire dalla casa dov’era segregato,
raggiunge un luogo abitato, si nasconde li’ per una notte, ed il giorno
successivo viene salvato, venendo catturato da una pattuglia della polizia
statunitense, di Yuma, che lo prende in consegna e lo deporta, di nuovo a
Tijuna.
Ramon, con un labbro tumefatto ed
un’occhio livido, ospite della casa del Migrante, dice di aver imparato la
lezione, e che non vorra’ piu’ riprovare a tornare negli Usa,
chissa’ se questa sua volonta’ rimarra’
tale anche quando le ferite sul suo volto e il grande spavento saranno svaniti.
Il Bene, Quello Di Dio E Quello Umano,
Sono Piu' Forti.
Ma non e' forse la speranza, che e' la
speranza di Dio, a muovere il cammino umano?
Ci sono volute 3 ore di fila a piedi da
Tijuana per attraversare il confine, insieme a centinaia di messicani,
pazienti, silenziosi, in attesa del colloquio con gli ufficiali
dell’immigrazione statunitensi.
Il mio, di colloquio, e’ durato appena
qualche decina di secondi, il tempo di mostrare il mio passaporto europeo ed il
visto per gli Usa, il tempo di rispondere alle uniche due domande che
l’ufficiale mi ha posto:” Dove sei stato in Messico e per quanto tempo?”, dopo
la mia risposta :”15 giorni, sono stato in una missione cattolica”, l’ufficiale
mi ha riconsegnato il passaporto e mi ha salutato: ero di nuovo negli USA, a
San Ysidro, in direzione San Diego.
Quella stessa sera, davanti al Pacifico,
provavo a scorgere la costa verso il Messico, dietro di me la tranquillita’ di
downtown San Diego mi pareva surreale paragonata alla confusione ed al dramma
di cui ero stato testimone fino a qualche ora prima, riflettevo su due mondi
cosi’ vicini ma cosi’ lontani, cosi’ vicini fisicamente da toccarsi, cosi’
lontani per contesti sociali ed economici quasi fossero due pianeti diversi,
separati appunto.
Ripensavo alle storie drammatiche che ho ascoltato dietro quel muro, alla violenza di chi le ha subite, alla speranza che ancora anima le persone che le hanno vissute e che me le hanno raccontate, perche’ in fondo, queste persone sono ancora vive, mentre a migliaia sono quelli che non possono piu’ raccontare.
Ripensavo al perche’, pur sapendo che
possono morire disidratati nel deserto, oppure finiti uccisi dai narcos, centinaia
di migliaia di persone rincorrono questo sogno di terra promessa, quasi fosse
una lotteria, od un’eldorado.
Che probabilita’ ci sono di vincere una
lotteria milionaria? 1 su un milione,1 su un miliardo? Praticamente e’
impossibile, eppure tantissimi in Italia, in Occidente, anche qui negli Stati
Uniti, giocano alla lotteria.
“No Candide, l’Eldorado non esiste”, Gli
Usa sono pieni di homeless, e la violenza non si arresta oltre quel varco:”
quante sparatorie di massa e violenze si registrano anche al di la’ di quel
muro, dove persino lo stato perpetra la piu’ assurda e paradossale violenza di
tutte, la pena di morte?”
No, l’Eldorado non esiste, esiste pero’
l’incoscienza dei molti giovani africani e latinos che tentano la sorte
sfidando narcos, serpenti a sonagli, deserti, uomini in divisa armati pronti a
far fuoco, e muri.
Esiste la speranza di chi cerca
un’opportunita’ nuova, di chi cerca un diritto ad un esistenza un po’ piu’
dignitosa, perche’ davvero scappa da situazioni di pericolo oggettivo ed imminente,
ed ha i titoli per chiedere lo status di rifugiato.
Ed esiste il bene, quello di Dio che
illumina anche i luoghi piu’ bui del nostro tempo, attraverso lo straordinario
lavoro di uomini di buona volonta’, pronti al sacrificio, alla generosita’,
alla solidarieta’, all’amore verso il proprio fratello, magari anche
incosciente e nell’errore, che si accalca lungo il confine.
Esistono opere straordinarie a Tijuana,
la maggior parte cattoliche, luoghi come la “Casa Del Migrante” * degli Scalabriniani, luoghi come il
progetto “Padre Chava” dei Salesiani, dove sacerdoti, missionari laici,
volontari con turni massacranti ed in contesti logistici disagevoli,
sopperiscono al lavoro che spetterebbe alle istituzioni, non solo messicane e
forse neppure statunitensi, perche’ fenomeni migratori di tale portata
comportano sconvolgimenti geopolitici, e probabilmente richiederebbero
interventi di istituzioni sovrannazionali.
Ma forse manca la volonta’ politica, e
questi gorghi della storia fanno comodo a molti poteri.
Quella sera ho salutato l’oceano,
l’indomani sarei ripartito per Las Vegas prima di far ritorno a Detroit, un
Pacifico calmo, all’interno della baia di San Diego, riparata da una
promontorio che protegge la costa, proprio come un muro, ma quell’acqua davanti
alla baia di San Diego pareva stagnante, forse persino maleodorante, mentre a
Tijuana Il Pacifico e’ libero, forte potente, e le sue onde a volte paiono
sommergere quella parte di muro che invasivamente si protrae oltre la costa, e
per decine di metri sfida le acque dell’oceano.
L’oceano, ho pensato, con le sue onde continue, incessanti, alla fine avra’ la meglio sul muro, proprio come fara’ il cammino umano, che non si e’ arrestato davanti ai muri, ma li ha valicati ed abbattuti, proprio perche’ il cammino dell’uomo, iniziato milioni di anni fa’ nella Rift Valley in Etiopia, ha lo stesso ritmo del Pacifico, un ritmo perpetuo, irrefrenabile.
*La Casa Del Migrante,
fondata nel 1987, ospita ogni anno quasi 50mila persone tra immigrati,
deportati dagli Usa, rifugiati, offrendo loro cibo, vestiti, un letto in cui
dormire, assistenza medica, psicologica, spirituale (foto qui)
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