sabato 20 novembre 2021

Testimonianza a Lecce

La base di una mia testimonianza che ho condiviso nella Chiesa di S.Irene, in centro Lecce, ai giovani della Diocesi di Lecce...testimonianza che ha "lasciato il segno": Sono Giuseppe, novizio comboniano.  vivo a Cavallino, nella comunità comboniana, da ormai un anno, e se dio vuole tra qualche settimana dovrei prendere i primi voti, cioè consacrarmi alla missione, come missionario comboniano appunto.  Di solito sono spontaneo nelle testimonianze, ma stasera c'è qui il mio formatore Padre Giambattista. Siccome non vorrei fare troppe figuracce, stasera mi sono scritto qualche parola da condividere con voi, un po' di getto ma credetemi con autenticità ... Ecco io non vorrei risultare retorico, essere un pò palloso anche...Io alla vostra età il Sabato sera ero a fare baldoria...( anche voi forse dovreste essere lì...a ballare, o in un pub)... a me è "servito" anche quello...proprio perchè in quella "frenesia" da divertimento e consumo (sono nato e cresciuto a Milano figuratevi voi) sperimentavo un vuoto, e mi misuravo su un senso di "pienezza" che non si appagava, e quindi l'inquietudine, eppoi la ricerca. Siamo fatti per ricercare. Ma ricercare cosa? Sballo? Evasione? NO, siamo fatti per ricercare una vita piena. Parlare della mia chiamata non mi pare sia giusto, ogni chiamata è certamente universale , ma è anche misteriosa, personale, intima. Ed io non vi conosco. Vi posso però dire che la mia chiamata c'entra con la mia ricerca di una vita piena, appunto...e c'entra con il mondo, di cui mi sono innamorato, dell'Africa in particolare (ho avuto l'audacia, l'intraprendenza, anche la possibilità di viaggiare abbastanza, di fare esperienza di viaggi e di volontariato in missione, in diverse parti del mondo: nei Balcani, in america Latina, Medio Oriente, ma anche Stati Uniti, Messico, eppoi l'Africa appunto...dove ho vissuto per quasi 2 anni come volontario). E vi posso anche dire che la mia chiamata c'entra con Papa Francesco, con la sua (la nostra..speriamo) "Chiesa in uscita", di strada, prossima alla sofferenza dell'umanità, capace di accompagnarla, soccorrerla, curarla, come un ospedale da campo.E... c'entra con l'ambiente, la natura, l'ecologia integrale. La "Laudato Si" , meravigliosa e profetica enciclica sulla cura della casa comune, la salvaguardia del creato. Oggi sono stato alle Cesine, in bici: gli aironi che meraviglia! Siamo chiamati a sentire l'amore, e riceverlo, nella meraviglia del creato, Tutto mè connesso... il mare, le montagne, i gabbiani, i gatti, il nostro parco dei comboniani l'avete visto? Meraviglioso). Volete un gatto? Torno all' Africa: la  prima esperienza fu in Etiopia, in un orfanotrofio di bimbi sieropositivi. Ne vidi morire almeno un paio in quel mese di volontariato. Ero già praticante (cattolico- universale) , ma quell'esperienza mi diede una botta...una botta di grazia! Ed allora, questo certo posso rivelarvelo: questa mia chiamata personale ed intima, risponde ad una vocazione (universale ed intima) che riguarda Gesù Cristo, il suo annuncio, la sua testimonianza. Che riguarda i poveri, che riguarda il cammino, Il suo al fianco dell'umanità, ed il mio cammino, il nostro cammino. In Africa sperimentai una pienezza di vita! Innamorarsi dell'umanità e di Cristo! E su quel sogno di amore decisi, ormai 5 anni fà, di lasciare un "buon" lavoro, sicuro, in una importante azienda.Voglio anche dirvi che essere fedeli in Cristo non mi pare sia tanto seguire un insieme di dogmi, di precetti, di regole rigide... piuttosto la fede è un cammino coraggioso e radicale in noi stessi, per gli altri, per l'umanità. E' cammino del cuore che sà farsi amare e che ricerca e costruisce l'amore. Il senso della vita. "Essere amati ed amare". Raymond Carver, poeta e scrittore americano scriveva, poco prima di morire... "E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?Sì E cos’è che volevi?Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra" Non c'e' senso più "grande": la ricerca di una pienezza talmente radicale...da  permettere di donarci agli altri. Di perdere la vita per amore, per gli altri. Anche se gli altri non ci capiscono! E' l'amore più puro, più forte.  Ecco, Personalmente più che parlare della mia vocazione vorrei incoraggiarvi a camminare, a cercare con autenticità il bello ed il vero, a cercare Cristo, luce del Mondo, e non solo una "scheggia di luce" (titolo di questa serata). Ad essere inquieti, anche scomodi. Rompipalle soprattutto verso il potere. Pretendere che faccia il bene, contro le logiche mafiose e di chiusura! Di privilegi e di violenza, che ci sono anche dentro la Chiesa. Il potere è sempre violento e chiuso. Ed egoista. Tranne quello del servizio. Don Tonino Bello parlava di essere scomodi, di auguri natalizi scomodi (Natale alle porte, entriamo in Avvento)... di Chiesa col grembiule... Ecco,  io vorrei dirvi di non avere paura! Di non rifugiarvi nelle strutture, nel potere, nella sicurezza. Scacciate i mercanti dal tempio.  Il Vangelo è un cammino di liberazione, di non violenza, che non chiede un'adesione ad una idea rigida, e tantomeno in una ricerca di una struttura di potere "chiuso", che rassicuri. Il Vangelo non è rassicurante! Non è comodo! Ecco, Allora mettetevi in cammino, col grembiule,  Sarà un cammino esigente, una vita esigente. Ma anche una vita piena, un cammino pieno, di conversione, di speranza!  Posso solo dirvi in definitiva...(è solo questa la testimonianza che voglio lasciarvi)...che ne vale la pena! Che vale la pena! Che è possibile compierlo questo cammino di conversione, di speranza.  Ognuno nella propria realtà, ovunque...la missione è ovunque, la missione è in ognuno di noi! La missione è soprattutto nelle nostre relazioni, con chi ci sta vicino. Costruire relazioni sane è la prima missione! Siate coraggiosi, aperti al prossimo, al mondo. Il mondo è un luogo meraviglioso, ovunque abitato dal bene, da Dio. E' più Il bene, credetemi, che il male. Che certo esiste. E che va combattuto. Senza paura, con responsabilità. "se Dio ci ha fatti liberi siamo responsabili di quel che facciamo e di quello che non facciamo"...ovunque c'e' bisogno di cercatori di giustizia, di verità, di pace. Di cercatori di Gesù Cristo. Il sogno di migliorare il mondo non può che partire dal farsi migliori...oggi e qui.  Vi lascio con questo scritto di Lele Ramin, missionario comboniano ucciso in Brasile, perché difendeva i campesinos, i poveri, gli sfruttati . Scriveva- poco prima di essere ucciso dal potere che denunciava nel nome di Cristo Gesù - di un amore, di un sogno, «Abbiate un sogno. Abbiate un bel sogno. Seguite soltanto un sogno. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno. Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete non soltanto tutte le persone, ma anche i loro discendenti. È bello sognare di rendere felice tutta l’umanità. Non è impossibile». Pregate x me, pregate x i missionari comboniani. Pregate x la Chiesa.

lunedì 8 novembre 2021

"Non Siamo Soli" Testimonianza Del "Mio" Tempo In Comunità Di Recupero.

Da diversi mesi ormai trascorro la Domenica pomeriggio con i "miei" ragazzi della comunità Arcobaleno. Del mio tempo passato qui a Lecce- e' proprio quando sto con loro- che più lo sento farsi pieno, di una pienezza che e' commozione, che è sentimento di misericordia, di pietà, di preoccupazione ma anche di energia, quella della trasformazione e della speranza, del "senso", anzi de "il senso", almeno quello della mia vocazione, della mia vita.
Quando scrivo di "miei" ragazzi non lo faccio in spirito e volontà di possesso, di narcisistica ricerca di visibilità personale, di strumentalizzazione ( che è sempre un rischio, anche sottilmente inconscio), piuttosto mi viene naturale chiamarli così, "miei ragazzi", perché tengo tanto a loro, e prego per loro, per il loro bene, perché possano sperimentare il sentirsi amati, per poter magari "guarire" ed amare a loro volta. Alcuni di loro non sono giovanissimi, qualcuno è anche più avanti di me nell'età, c'è però un ragazzo di 19 anni, che anagraficamente potrebbe essere mio figlio. Si chiama G., ed è stato affidato dal carcere un mese fa (quasi tutti i "miei" ragazzi sono in regime carcerario, affidati alla comunità perché seguano percorsi di disintossicazione e di affrancamento dalle dipendenze da droghe ed alcol- almeno questa è la speranza), e fin da subito, nelle mie domeniche pomeriggio di servizio, ho attratto la sua disponibilità a condividersi, a farsi ascoltare, ad interagire. Il suo dolore, enorme, tragico, con cui fa i conti da tempo, me lo ha spiattellato in faccia, fin da subito, con una lucidità " disarmante", ma non autentica: G. racconta del suo dolore "facilmente",  troppo facilmente, come se non fosse il suo, come se non gli appartenesse, come se facesse riferimento ad una persona terza, estranea a quel dolore. Le droghe, tante e varie, e l'alcol, come abuso, non erano che analgesici per lui: stordirsi per non sentire il dolore, per non vedere il mondo fuori, cosi' infame, spietato ed indifferente, e non solo perché lo ha ignorato, ma peggio, perchè lo ha anche sfruttato, sin da giovanissimo, anche come forza lavoro in nero nei cantieri della ricchissima Svizzera. Provo amore per tutti i "miei" ragazzi della comunità, ma per G. ancor di più, perché è il più piccolo, e forse, il più "ultimo" tra gli ultimi, se non altro perché temporalmente è proprio l'ultimo arrivato in comunità. Lo ascolto, ci gioco a biliardino, non a ping pong perché è proprio una schiappa.Vorrei aiutarlo, vorrei portarlo, dargli una spinta in questa salita che è la vita. Vorrei aiutarlo ad imparare a volare, almeno un po'. Aiutarlo a sperare, a credere che forse, un giorno, potrà sognare, magari una fidanzata, una casa, un lavoro ed una vita dignitose. Prima di venir via dalla comunità ho salutato i "miei ragazzi", avrei voluto abbracciarli tutti, ma le restrizioni per l'epidemia di covid giustamente non lo permettono, e vanno seguite...andrebbero seguite, perchè con G. non ci sono riuscito, e l'ho abbracciato. L'ho salutato, ci rivedremo la prossima Domenica a Dio piacendo. Non posso fare altro, condividere un po' di tempo con lui, guardarlo in volto, nei suoi occhi, oltre il suo sguardo spento, di un sorriso superficiale che prova a nascondere tristezza, di uno sguardo indifferente e vuoto, da cui, sotto, traspare un grido, immagino di rabbia e di dolore. Condividerla quella sua rabbia e quel suo dolore.
Farli uscire, dargli spazio, in un abbraccio, sincero. Vorrei, più che raccontarglielo, testimoniare che il dolore va attraversato, dandogli un senso, sapendo che non siamo mai soli, che c'è una luce che ci muove, a cui non solo aneliamo, ma a cui siamo destinati. La risurrezione non è un concetto astratto, o solo teologico, ma un cammino da compiere, quello del Vangelo, verso la liberazione anche da tutte le sovrastrutture- persino sociali e culturali e di convenzioni- di dolore, di chiusura e di morte, che ci affliggono, che affliggono i luoghi ed i contesti che viviamo.  Risorgere dalle nostre morti e' possibile: questo, di per sé, è già il senso primo ed ultimo della nostra esistenza credo, lo sforzo di un cammino da compiere, nella croce, nella preghiera da gridare col cuore.
Testimoniargli che cio' che vive ed ascolta la Domenica nella Messa che celebriamo in comunità, la liturgia, i canti, la preghiera, il Vangelo e l'Eucarestia soprattutto, sono parte di un cammino, del cammino, che non può, ma soprattutto non vuole, evitare il dolore, ma che però può attraversarlo, dargli un senso, trasformarlo. E Liberarlo, liberandoci. A partire dalla  piu' grande verità: e cioe' che non siamo soli. Che tu G. non sei solo.
Giuseppe L. Mantegazza

mercoledì 3 novembre 2021

"La Mia Opera Non Morirà"- A Padre João

A seguire una mia riflessione alla testimonianza del comboniano Padre João, da ormai diversi anni allettato per la SLA, che ha appena compiuto 70 anni di vita! La testimonianza di Padre João è a questo link: https://comboni2000.org/2021/10/28/la-mia-opera-non-morira-con-te/ Padre João, auguri per i 70 anni di vita! E grazie per la tua "la mia opera non morirà", con cui condividi parole di malinconia per il tempo fuggevole, per questo soffio, brevissimo, che se si fa però respiro d'amore rimane eterno; grazie per la speranza che sento rimanere viva in te, attraverso queste tue parole, attraverso la tua lucidità nell'inviare, come notifiche alla tua mailing list, riflessioni ed articoli sempre importanti, mai banali. E grazie soprattutto per la preghiera a cui tieni di più, perché, più o meno direttamente, è proprio rivolta anche al sottoscritto, perché novizio (non proprio giovanissimo), l'unico, fino a pochi giorni fa, europeo, che tra l'altro ha vissuto un periodo di noviziato proprio in Portogallo, paese che mi ha affascinato per la sua bellezza malinconica, così ben espressa anche nella musica del Fado, bellezza malinconica di cui sono impregnati gli spazi, ed i tempi, di confine. I lembi di terra, e di tempo appunto, di fine. Così come lo è il Portogallo- terra di passaggio tra il noto e l'ignoto del mare, nella sua maestosità dell'oceano, del suo orizzonte che si protende all'infinito - confine e fine dell'Europa. Credo sia proprio sui confini che la nostalgia si faccia più intensa, e che nella nostalgia si espanda il desiderio di Dio, la ricerca del suo mistero. Ti scrivo perché provo a comprendere la tua inquietudine, che non sento di rassegnazione, nel tuo prepararti a "lasciare", malinconicamente certo, ma anche con la tentazione che ben descrivi del "muoia Sansone e tutti i Filistei": " mi assale la tentazione di pensare come Sansone: che tutto crolla e muore con me. E chiedo a Dio un segno: di poter vedere che qualcuno riprende dalla mia mano la fiamma, qualcuno qui, nella nostra provincia di origine, in Italia e in Portogallo". Anch'io, Padre João, mi sto preparando a "lasciare": tra poco tempo, non più di due mesi, lascerò il posto da cui ti sto scrivendo, la comunità comboniana di Cavallino- Lecce, in cui vivo da ormai 10 mesi, dopo aver vissuto, e lasciato, negli ultimi tre anni ormai, almeno altre quattro comunità, con le rispettive realtà umane ed ambientali. Provo già malinconia per il momento del distacco, di un nuovo "strappo": dalla comunità dei confratelli che mi ospitano, dalla gatta ed i suoi gattini di cui mi occupo, dallo splendido "parco dei comboniani", in cui passo ore a lavorare e camminare, anche a contemplare, eppoi "lo strappo" dalle persone con cui ho iniziato a costruire relazioni di cura, di ascolto, di confronto e dialogo, anche di affetto. Sto sperimentando malinconia, come più volte è successo nella mia vita nei momenti di "distacco": eppure ho sentito che è proprio in questa malinconia, in questo "strappo", se viene trasformato in salto (che sento di libertà se riesco ad essere sempre più libero) che sento più vicina la misericordia ma anche la potenza di Dio. La sua onnipotenza. Quella della libertà e dell'amore liberato. E' nella malinconia del lasciare che si fa più intensa la ricerca di Dio, è nella malinconia dell'orizzonte e del confine che è possibile, più che altrove, sperimentare il volto misericordioso ed onnipotente di Dio. Ai confini Del Tempo. In questo periodo della mia vita, sento che la risonanza più profonda mi è rimandata dalla relazione che ho con il tempo. Che ho sentito scorrere veloce, che ho sentito sempre come poco, inafferrabile, facendomi sentire un pò sempre in ritardo, ma anche, sempre, ancora in tempo. Sto sperimentando che è il presente il tempo di vivere, sentire ed amare: vivere, sentire ed amare ciò che faccio, le relazioni, la bellezza che mi circonda. Di vivere, sentire ed ed amare il mare ( certo non è l'oceano Atlantico, ma sia l'Adriatico che lo Ionio qui in Salento sono splendidi), eppoi il cielo di qui che guarda ad oriente, ed il parco e gli animali che ci vivono, e di vivere, sentire ed amare le persone che incontro, soprattutto gli emarginati, "gli ultimi" che provo a seguire; ed ancora di vivere, sentire ed amare le strutture che vivo, senza però perdere capacità e spirito critici, chiedendo i doni del discernimento, della sagacia e della parresia. La sinodalità è cammino "inquieto", è dialogo e confronto, anche animato, che non coincide mai con "un superficiale quieto vivere", e neppure può coincidere con il "si è sempre fatto così", tantomeno con il "farsi dire solo ciò che vogliamo sentirci dire". La sinodalità non può che crescere in una dinamica di servizio, non di servilismo. Sinodalità è saper comprendere, accogliere, accettare anche ciò che ci dicono e che non vorremmo sentire, se questo concorre al bene, per cambiare, per convertirci, insieme. Sinodalita' e' provare, insieme, ad aprire alla luce quei ( pericolosi) coni d'ombra che ancora ci sono nella Chiesa e nel mondo. Un tempo come kairos. E' il tempo il bene più prezioso, ecco perché sono soprattutto i potenti che provano a comprarlo, anche a "rubarlo", vorrebbero "accumularlo" come surplus, come fanno con le ricchezze materiali, patteggiando col diavolo. Ma più in generale, oggi più che mai, è l'uomo a credersi illimitato, senza confini, tanto che pare volersi bastare a se stesso. Niente di più illusorio. Vivere come se il confine non esistesse e' rinnegare Dio, quindi rinnegare se stessi, la propria origine, la propria vocazione e meta finale. E' solo con la consapevolezza della nostra finitezza che ci si può mettere in relazione con l'infinitezza. La malinconia dell'infinito e' la malinconia dell'uomo verso Dio. Il tempo non è nostro. "l'uomo crede di misurare il tempo e di misurare Dio, ma sono Dio ed il tempo a misurare l'uomo". Ecco, se c'e' una cosa che sento forte, anche come sviluppo di questo periodo di noviziato, è proprio il sentirmi, forse all'inizio, di un cammino verso un totale distacco dal tempo, il sentire che non mi appartiene, ma al contrario, di appartenere ad esso. E' l'entrare in una logica di infinito, di amore ad immagine di Dio, in cui tutto viene trasceso, persino le coordinate spazio-temporali. L'ultima, finale, liberazione, è quella dal tempo. Itineranza e stabilità del Comboni. Proprio in questo senso credo che il Comboni avesse fatto esperienza del tempo: da una parte una continua itineranza di azione ( fino ai confini del mondo allora conosciuto) e di spirito e di pensiero (quest'ultimo mai stantio o fermo, mai inadeguato alla realtà che ha affrontato, ma profetico proprio perché capace di vedere oltre la realtà, anche di trascenderla, standoci e trasformandola), dall'altra, parallelamente, un fondamento, una radice di benevolenza, di speranza, di seme profondo da cui sgorgano bene ed amore. E' la stabilità della certezza dell'amore, della passione, come è nell'immagine del sacro cuore di Gesù, quel cuore trafitto da cui "sfavilla" vita, da cui "sfavilla" amore per l'umanità, e tanto più l'umanità è sofferente, lontana, "abbandonata", tanto più è intenso l'amore che dal cuore di Gesù sfavilla. Così come ha sfavillato dal cuore del Comboni, così come dovrebbe essere dal nostro, di cuore, se siamo alla loro (di Cristo e del Comboni) sequela. In questo senso, "l'opera non morirà", mi pare sia certezza e non auspicio, da "leggere" non tanto in una dinamica meramente "spazio-temporale", in una logica di occupazione di spazi, di continuazione delle opere (che certo rappresentano segni importanti), quanto in una logica più profonda, di testimonianza di amore, di seme che lascia, se è autentico, una traccia indelebile, eterna, liberata dallo spazio e dal tempo. Di seme che lascia un ricordo, che è portare nel cuore. La malinconia del passaggio, del confine, è certamente abitata dalla grazia. La malinconia del passaggio, del confine - di quello che è stato, dell'amore donato, di una vita spesa nell'amore - e di quel che sarà - è certamente abitata dalla grazia. Personalmente non ho mai sentito così forte la presenza misericordiosa di Dio proprio nella malinconia di una fine, di un passaggio verso l'ignoto, verso lo sconosciuto. E' necessario perdersi nel mistero. Ti auguro, caro Padre João, di viverlo pienamente questo tempo, di grazia, di presenza forte di un cuore, e di un amore, che continueranno a sfavillare, ad agire. Ti auguro di starci in questo tuo tempo. La malinconia e' tempo di grazia particolare, straordinaria. L'amore, se autentico, nella trascendenza in Cristo, e' inconfutabile, indelebile. Anche se invisibile agli occhi del mondo. Gesù ha già vinto, così come ha già vinto il Comboni. Così come vince ogni discepolo che ama e testimonia di quell'amore per cui siamo creati. Se abbiamo accarezzato l'umanità, i suoi piccoli, i suoi più abbandonati, allora non passiamo. E' di questo che dovremmo fare esperienza: da vivere, testimoniare e comunicare. In una comunicazione affettiva, calda, non fredda e burocrate. La malinconia dell'attesa. La nostalgia di Dio è abitata da Dio stesso, ed il con-fine è il luogo d'incontro privilegiato con Lui. L'opera non morirà, anche se non dovessero esserci più novizi in futuro (con l'auspicio che non sarà così, ma soprattutto con l'auspicio che si avviino processi di sinodalità, capaci di "svuotare" le note di potere- rigidità- chiusura/ autorefernzialita' di cui ancora soffre la nostra Chiesa, note che contribuiscono anche ad allontanare giovani di buona volontà). Buon tempo di nostalgia e di grazia. Buon tempo per, con, in Cristo. Giuseppe L. Mantegazza (novizio comboniano), Cavallino, Lecce. 2 Nov 2021