martedì 22 agosto 2023

Nuova Alba, Da Dove Il Cammino E' Iniziato

" In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu.  Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo" Genesi, 1, 1-5 (La Creazione) Nuova Alba, Da Dove È Iniziato "Il Cammino". Arba Minch all'alba: colpì non poco lo scrittore polacco Ryszard kapuscinski, che in "Viaggio con Erodoto", uno dei suoi libri più celebri, dalla veranda del Bekele Molla Hotel (dove mi trovo adesso), scrisse che "un uomo qui si sente il re dell'universo". Chissa', in effetti lo sento anch'io, non di essere un re, ma di essere nella pienezza dell'universo, nella pienezza della vita e del suo mistero, nella pienezza di un tempo che qui sembra non esistere, tanto è lento, dilatato, legato al movimento del cielo, del sole, della luna, dell'acqua. Il resto - alla vista, all'udito, al pensiero, non al cuore - in me è immobile, quando lo sguardo inevitabilmente va oltre il verde delle foreste collinari, oltre l'istmo (chiamato, non a caso, "il ponte di Dio") che separa i due laghi su cui "poggia" Arba Minch, i laghi Chamo e l'Abaya, nella Rift Valley etiopica, la culla dell'umanità. A "rompere" il silenzio dell'eternità, solo il fischiettio degli uccelli, tra cui diverse specie di rapaci, nel loro suggestivo planare nel vento. Arba Minch è certamente parte dell'origine, parte meravigliosa della culla dell'umanità, parte della creazione, della vita creata dall'acqua. Arba Minch, in amarico, che è lingua semitica come lo sono l'arabo e l'ebraico, significa quaranta sorgenti. Sorgenti di vita. Questo "luogo" di estrema periferia geografica, distante quasi 500 km a sud dalla capitale etiope, immerso in una natura selvaggia ed incontrastata, lo conobbi perché suggeritomi da due avventurieri incontrati in una missione. Quando vi arrivai la prima volta, mi stupii di vedere diversi americani aggirarsi per il "villaggio": erano contractors e militari della US Air Force, impegnati nella base di droni - che il Pentagono aveva voluto per colpire gli Shabab in Somalia - costruita in un'area dell'aeroporto civile. Go, strike and turn back (in Arba Minch), nella "guerra dei droni" al terrore, voluta dall'amministrazione Obama. La base fu operativa per cinque anni, venne chiusa nel 2016. In cuor mio sapevo che quei droni, visti più volte decollare e volare verso i targets designati, ed il loro ronzio, sarebbero stati disturbi temporanei, insignificanti, rispetto a questo angolo di mondo eterno, fuori - o dentro pienamente nella sua eternita'- dal tempo, angolo di mondo in una periferia estrema, ma che è centro, origine, utero. "Cosa volete che siano" l'eternità della vita, e la sua perenne creazione, in confronto ad aerei senza pilota, pur sofisticati (e costosi), progettati da uomini per uccidere altre persone: la vita è, e rimane, eterna, la morte- accompagnata spesso da perversi e sofisticati sistemi- solo una temporanea brevita'. Qui ad Arba Minch, tutte le volte in cui sono stato in Etiopia (una decina), vi sono sempre ritornato, anche se solo per qualche giorno, più che altro per sedermi su una di quelle poltroncine della veranda del Bekele Molla, forse, chissà, la stessa su cui si sedette Kapuscinski (i Bekele Molla sono una catena di hotel, i primi nel paese, risalenti ai tempi del Negus, l'imperatore Haile Selassie, e praticamente sono rimasti intatti, ora fatiscenti e praticamente senza manutenzione, da oltre 60 anni), e seduto lì, in veranda, a scrutare verso quell'orizzonte dell'eternità, sentirlo, farne esperienza sensoriale, di cuore, spirituale. Viscerale: "l'Africa", nella sua essenza, non ha a che fare con l'intelletto od il raziocinio, ma è istintiva, primordiale, viscerale. Veniamo dalle sue viscere, un grembo, che è radice- la radice- anche se lontana nel tempo. E dalla veranda del Bekele Molla di Arba Minch, guardando verso la vallata dei due laghi e dell'istmo, verso l'orizzonte, sento eccome di appartenervi, a questo grembo, a questa radice primordiale. Fu proprio qui, insieme alle esperienze di volontario nelle missioni, attraverso la vicinanza agli ultimi della terra ed a quella con qualche intrepido missionario, ormai quasi quindici anni fa, che mi innamorai di questi luoghi, delle sensazioni che queste esperienze donano, o forse m'innamorai di un'idea, e su quella iniziai un cammino, a rincorrerle quelle sensazioni, anche corporee, di pienezza, armonia, liberazione. Ma dopotutto non è il dove, ma è il come le viviamo le situazioni, ed e' ciò che percepiamo, ciò che è dentro di noi, non fuori, a fare la differenza. E le idee, per quanto autentiche, il più delle volte non tengono conto dei limiti: quelli umani, i nostri, quelli delle strutture umane, specie se queste ultime sono "pesanti", lente, a volte proprio schiacciate e schiaccianti per le tante sovrastrutture che le "compongono e regolano", ed anche, per quel che ho sperimentato, dall'essenza conservatrice e rigida, soprattutto perché di potere - che se non è sinodale e basato sul "servizio", rischia di essere particolarmente manipolatorio. Volevo proprio che fosse qui, dove è iniziata, che questa tappa di cammino si concludesse: in questo mio luogo del cuore, un confine del mondo, limes - limite esterno, ma soprattutto interno, il mio limite - che finalmente ho sperimentato - in cui finisce un viaggio, parte di un cammino umano e spirituale. Pronto a ricominciare, in forme ancora non chiare, ma che si schiariranno cammin facendo, perché il cammino si apre camminando... Giuseppe

giovedì 17 agosto 2023

Kaffa, L'origine Del Caffe'

Kaldi era un pastorello, figlio di un uomo anziano e saggio, che viveva nella regione di Kaffa, nell’Etiopia meridionale. Kaldi si alzava tutte le mattine prima dell’alba, dava una mano a pulire la casa, e poi al sorgere del sole prendeva le capre di suo padre e le portava al pascolo. Giunto in un prato, si sedeva sotto un albero e si metteva a suonare il flauto, ammirando il panorama, e concedendosi qualche sogno ad occhi aperti. Spesso e volentieri, a dirla tutta, i suoi sogni erano pure ad occhi chiusi, dato che si alzava sempre molto presto e finiva per avere sonno durante la giornata. Un bel giorno, Kaldi riaprì gli occhi dopo uno dei soliti pisolini, e vide una delle capre saltellare e danzare. “Forse sto ancora sognando”, pensò tra sé, e si stropicciò gli occhi. Ma la capra continuava a saltellare piena di energia, un comportamento inspiegabile. Il pastorello continuò a pensare alla capra danzante mentre riportava il gregge giù al villaggio. Si ripromise quindi di tenere d’occhio quella capra l’indomani, per capire la ragione di quella strana euforia. Il giorno dopo, Kaldi si alzò ancora prima del solito, quando intorno era ancora tutto buio, sbrigò le faccende di casa, radunò le capre e si diresse verso i pascoli. Per tutto il giorno continuò ad osservare quella capra, che però si comportava in modo normale. Come al solito aveva molto sonno, e se non fosse stato per quella gran curiosità, Kaldi si sarebbe sdraiato sotto un albero per concedersi un po’ di meritato riposo. Sbadigliando, continuava a seguire la famosa capra, sino a quando non la vide dirigersi verso un cespuglio di bacche rosse. La capra iniziò a mangiare quelle bacche, e poco dopo prese nuovamente a saltellare e a danzare come il giorno prima. Altre capre la imitarono, e anche loro furono come contagiate dalla stessa energia. Kaldi capì che c’era qualcosa di strano in quelle bacche, e cautamente ne assaggiò una. Il sapore non gli dispiacque affatto, e ne mangiò ancora. Poco dopo, tutta la sua stanchezza era come scomparsa: non solo non sbadigliava più, ma aveva pure lui voglia di correre, saltare e ballare. Richiamò le capre e tornò verso il villaggio. Sulla porta di casa incontrò suo padre, e gli raccontò dell’accaduto, porgendogli anche qualcuna di quelle magiche bacche rosse. L’uomo, dopo averle assaggiate, si sentì addosso un’energia che ormai credeva fosse solo un ricordo del passato. Se non fosse stato un vecchio saggio e molto rispettato, si sarebbe pure messo a ballare! Quella notte padre e figlio non ebbero sonno, e ne approfittarono per parlare a lungo al chiaro di luna. Il giovane Kaldi iniziò a vendere le bacche ai suoi compaesani, che grazie ad esse sentivano di avere molta più energia per affrontare la dura vita dei pastori. In breve tempo, Kaldi riuscì a guadagnare abbastanza da comprare delle capre tutte sue, e finalmente poté permettersi di mettere su famiglia. Nel frattempo, il passaparola fece sì che l’arbusto dalle bacche miracolose si diffondesse dalla regione di Kaffa a quelle vicine, e poi ad altre un po’ più lontane, sino alla penisola arabica e oltre, mentre si inventavano nuovi modi per consumare quello che oggi chiamiamo caffè. Curiosità: In realtà, per quanto fosse davvero originario dell’Etiopia, sino alla fine dell’Ottocento il caffè non era tanto diffuso nel paese, anche perché era proibito dalla Chiesa Ortodossa Etiope. Sembra che il divieto fu cancellato su pressione dell’imperatore Menelik, gran appassionato della bevanda scura. Mentre in italiano la parola “caffè” mantiene una chiara assonanza con la regione di Kaffa (e lo stesso in lingue come inglese, francese, tedesco, turco, arabo), in amarico, la lingua ufficiale in Etiopia, il caffè si chiama “bunna” (termine che apparentemente viene dall’arabo).