giovedì 30 dicembre 2021

Ritiro Pre-Consacrazione

Carissime, carissimi, da stasera entrerò nel silenzio. Nel ritiro che precede i voti ( o meglio... le virtù). Pregherò per il mio cammino, per il vostro, per l'umanità, per chi ho incontrato ed avvicinato, per tutti voi che siete nel mio cuore. Per arrivare qui a Limone Sul Garda, dove proclamero' povertà, castità ed obbedienza ( che paradosso! Ma in fondo, se ci pensate bene, la vita stessa e' paradosso, e paradosso e' l'essenza stessa del cristianesimo, cioe' la morte che dona la vita), abbiamo percorso la dorsale adriatica, e poi su fino a qui, sul lago di Garda. Più di 1000 km partendo dal tacco d'Italia, il Salento, fin a raggiungere questa località suggestiva, incastonata tra il lago e le cime ora innevate, che e' diventata una specie di enclave tedesca in Italia. Limone, questo e' curioso e positivo per me, e' sotto osservazione, studiata perché ha un segreto, quello della longevità ( e' la località che ha tra il più alto numero di centenari in relazione alla popolazione). Personalmente mi sento come fossi stato tramortito, sono dolorante, come fossi stato "sradicato", seppur in Salento abbia trascorso un anno. Sradicato anche e soprattutto affettivamente: ieri sera, guardando per un'ultima volta il mare Adriatico (che e' stato mio compagno di preghiera, di pensieri, di gioia, di bagni anche invernali) , a Pesaro, dove ci siamo fermati per dormire prima di riprendere stamattina presto il viaggio, mi sono commosso, affidando al mare e a Dio, i miei più bei pensieri per voi, per tutte le persone che ho conosciuto, per i più piccoli, i più fragili, per i gatti salentini anche ( ma anche i cani, i gabbiani, le gazze che infestano il parco dei comboniani). Credo sia, lo sradicarsi, un passaggio, un attraversamento necessario per "radicarsi", ancor più, nell'unico che è davvero capace, se ci avviciniamo a lui, di curarci, di curare le nostre tante ferite. E' Il partire da Ninive come ha fatto Abraham, che spero' contro ogni speranza, per fede. Quel partire che non necessariamente implica uno spostamento esteriore, perché il più autentico cammino e' interiore, il viaggio dentro di noi, nel nostro animo, verso la luce oltre le oscurità. Mi sono commosso anche rivedendo le Alpi, la neve, le salite che tanto amo ( in Salento confesso che mi mancava il camminare od il pedalare in salita, d'altronde se non mi piacessero le salite non mi troverei ora qui, ma non e' masochismo credetemi), rivedendo i colori di un lago alpino. E mi sono commosso vedendo due gatti di cui le cuoche si prendono cura nella nostra casa comboniana. Limone sul Garda ed il Salento: in comune gli ulivi, le arance ed i limoni. Pensate, e' una delle pochissime località cosi' a nord dove vi crescono. Questo ci unisce. Insieme all'acqua, che e' vita. Una delle prime cose che ho fatto arrivato qui e' stata quella di bagnarmi mani e faccia nel lago: sentire l'acqua...sentire la vita. In ogni spostamento in un nuovo terreno vi è gioia e sofferenza . Io prego per voi, voi pregate per me, soprattutto pregate perche' possa sempre fruttificare dove il Signore mi pone . Per lo stile delle relazioni profonde che vivo con le persone...credo gioiro' e soffriro' sempre, e faro' gioire e soffrire anche altri . È una sfida ineludibile quella delle relazioni, che spesso, purtroppo, vengono ridimensionate proprio per non soffrire più . Ma io provero' sempre a resistere a questa tentazione, al minimalismo. Vorrei continuare ad immergermi totalmente, anche affettivamente, anzi soprattutto affettivamente ( ecco cosa e' il sentire), perché non è possibile curare se non c'è il cuore coinvolto...anche se questa immersione col cuore, e poi la riemersione, comporta dolore, per me e per altre persone... Credo non ci siano altri cammini per poter guarire, per poter crescere, elevarsi. Anche la pianta per crescere deve tirarsi, e quindi provare dolore. Elevarsi per servire sempre più e meglio gli altri, a partire dai più piccoli, i più abbandonati. Elevarsi per amare sempre più e meglio. Ci si gioca la vita non per una idea, ma per il cuore, per l'amore. Ecco. Non giocate con la vita, ma giocatevela! Per e con il cuore, per e con l'amore. Per Cristo, per chi ci crede nell'amore cristiano, puro e totalizzante! Dal dolore, come dalle crisi, non si esce mai del tutto, come dalla lotta, sono continue: vanno affrontate, sapendo che o ne usciamo più umani, oppure più deumanizzati ( il dolore se non affrontato ed integrato deumanizza). Coraggio! E' la sfida della vita. Dell'amore. Da affrontare con fede, nell'uomo, negli abbracci, nella comunione e comunità. In Dio. Vi voglio bene, vi ricordo (vi porto nel cuore). " Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” Mt 18,15-20

Buon cammino! Buon volo!

Vi prego di "accompagnarmi" in questo mio ultimo giorno qui in Salento. Tanti ricordi (portati nel cuore), tante persone avvicinate, con e forse a Dio, tanto affetto donato e ricevuto. Ma anche tanto dolore - e non mi riferisco al mio, al nostro di missionari che dovremmo essere capaci di immergerci, e poi riemergere, negli abissi dei luoghi, e dell'animo umano soprattutto, testimoniando che anche da li' in mezzo, negli abissi, soprattutto da li', è possibile rimanere "ancorati" al bene, e che è possibile scorgere un lumicino, di speranza, di amore, di seme recondito in ogni persona, il seme di Dio- mi riferisco al tanto dolore di cui sono stato testimone, dolore profondo che innalza grida a Dio, da questa terra, dove la mancanza di lavoro, di "sbocchi", di acqua fresca ed ossigenata, di opportunità ( muri sociali, politici, culturali, strutturali in questa realtà in parte ancora chiusa, patriarcale, "feudale"), produce ferite, blocchi, emigrazioni, facilitando anche mancanza di speranza. Che è il male peggiore che può affliggere l'uomo. Ma come ovvio, anche qui in Salento sono stato testimone di tanto bene, anche nascosto, ma vivo. C'è vita anche nello "stagno". A proposito...il mio luogo del cuore, di questo mio intero anno passato qui in Salento, e' stato le Cesine ( riserva naturale wwf)...una palude, uno stagno appunto, pieno e pieno di vita ( nel tempo passato li', alle Cesine, che ho sempre raggiunto in bicicletta, ho potuto osservare, ammirato e stupito, con gratitudine, specie rare, cervoni, fenicotteri, aironi e molto altro ancora), uno stagno vivo e meraviglioso, perché vicino al mare, che è vita, movimento, energia. Il mare è in qualche modo, il contrario dello stagno. Il mare da pace. Libera i pensieri. Non li ingabbia, li lascia andare. Allora il mio ultimo invito agli amici salentini e' proprio questo: di stare, davanti al mare, il più possibile. E molti pensieri inutili scapperebbero via, svanirebbero. Sapremmo dare la giusta priorità alle cose, torneremmo a casa un po' più centrati, meno affannati, più noi stessi...più liberi... E tenendo lo sguardo verso l'alto anche, ogni tanto. Ai meravigliosi cieli, che spesso animano la terra qui sotto. Cieli che sanno di oriente, che anticipano la luce, l'epifania. Cito anch'io, come ha fatto il nostro caro Papa Francesco proprio nell'omelia della S.Messa di Natale, la "divina" Emily Dickinson ( che è proprio la mia poetessa preferita):" “Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù". Buon cammino, Dio dica bene di voi...di noi..
.

martedì 14 dicembre 2021

Lettera salentina ( Ed Oltre ).

Vi scrivo queste parole con pienezza di cuore, di un cuore inquieto, anche malinconico per questa imminente partenza, di un cuore che rimane aperto e pregno di amore. E di questo vi ringrazio, perché in questo anno passato con voi, il mio cuore si è ancor più espanso, appassionato, inquietato: per la nostra sorte, la sorte dell' umanità di cui siamo parte. Provo dolore in questa partenza, in questo "strappo" anche affettivo, di questo dover "riemergere" dopo essermi immerso profondamente, donandomi, nelle realtà che ho abitato qui, ma lo sradicamento ed il radicamento in Cristo sono parte "fondante" e "fondativa" della missione, di una vita missionaria, itinerante come lo è stata la vita di colui a cui proviamo ad ispirarci. Di ogni vita, perché tutti abbiamo un destino comune, che è il lasciare, perché ogni vita, la tua, la vostra, la nostra, è itinerante, anche se vissuta tutta nello stesso posto, e perché ogni vita è una missione. Ma la vera sfida del cammino umano, e cristiano, è proprio questa: aprirsi per farsi trasformare la morte in resurrezione. Trasformare il proprio dolore, che ognuno di noi porta, in resurrezione. Il senso è nella bellezza dell’esistenza nonostante il dolore, la speranza nonostante l’esperienza della vita. Nonostante la solitudine, e la mia solitudine è come quella del seme nella terra: ho dentro l’inquietudine e il fermento della vita ma ho paura di spezzarmi, di non diventare quello che potrei essere. In Salento ci arrivai il 28 Dicembre dello scorso anno, partendo da una Milano innevata: raggiunsi Lecce nel cuore della notte, bivaccai intorno alla stazione, familiarizzando con alcuni emarginati; la mattina presto finalmente raggiunsi la casa dei Comboniani di Cavallino. Non fu facile all'inizio, non conoscevo nessuno qui, il luogo isolato, il deserto...successivo ad una forte, intensa, d'amore, esperienza pastorale a Palermo, nell'umanità, con l'umanità più "segnata", ma più amata da Dio, quella dei migranti, dei senzatetto, delle prostitute. Non è stata facile, non è mai facile mettersi in gioco rimanendo fedele ai desideri, e sogni, di verità, giustizia ed autenticità, per se e per il mondo, rimanendo "fedeli" alla propria storia, alla propria "radice" di bene, al proprio dolore anche, che non scompare, ma che, se si "apre" alla carezza dell'amore, è trasformato in vita. L'amore vero credo sia il dolore trasformato in amore... Lo cantava anche Lucio Dalla, grande poeta e cantante, nella sua "Le Rondini" https://youtu.be/nFui_6xwmrs , canzone che mi ha accompagnato in questo mio cammino qui " Vorrei seguire ogni battito del mio cuore | Per capire cosa succede dentro e cos'è che lo muove | Da dove viene ogni tanto questo strano dolore | Vorrei capire insomma che cos'è l'amore | Dov'è che si prende, dov'è che si dà.“ Giorno dopo giorno, legna dopo legna trasportata ed accatastata (nei miei lavori nel parco questo soprattutto ho fatto), grazie alla preghiera, agli studi, alla formazione, alla disciplina ed all'impegno quotidiano (il mio, del mio formatore Padre Giambattista, della comunità comboniana tutta, che ringrazio!), sono arrivato al termine di questa parte di cammino. Giorno dopo giorno, arricchito, e credo cresciuto. Rimanendo sempre aperto: alla grazia, alle relazioni, alla vita, alla tenerezza, all'amore, alla bellezza. Tante e dure sono state le prove, di moltre altre ne arriveranno, la vita stessa è prova: non ho paura, non c'e' da arrendersi, il bene è ostinato, l'autenticità, la propria prima di tutto, e' bene primario da perseguire e custodire. Credo, come più volte ho sostenuto e scritto, che per guardare al futuro, bisogna "ricominciare", a partire dalle strutture, dalle nostre strutture umane, a volte ancora chiuse, autoreferenziali, "distanti" e "fredde". La sfida del cambiare il mondo non può che partire dal cambiarsi. La sfida del rigenerare ( un termine molto caro al Comboni, di un concetto pienamente evangelico e profetico) non può che partire dal rigenerarsi. Mettersi in gioco è pagare un prezzo, quello della fatica di una vita esigente, della fatica della responsabilità, senza compromessi al ribasso, senza troppi sconti, in primis con se stessi, semmai, poi, con gli altri. Ne vale la pena, anche perchè senza questo "mettersi in "gioco" non mi pare sia possibile avanzare processi di cambiamento positivi, chiederli agli altri, chiedere onestà, passione, competenza dagli altri. E senza mettersi in gioco, illuminati dalla luce della propria coscienza e dello spirito, non mi pare sia possibile vigilare e "contrastare" un "sistema" di potere che, se non è quello del servizio, si trasforma inevitabilmente in perverso e mafioso. Potere che, se non è appunto quello del servizio autentico, manipola e sfrutta le fragilità, e su queste ci tiene in ricatto: anche la Chiesa qualche volta ha contribuito a creare ismi ( clericalismi, servilismi, assistenzialismi, nepotismi, pietismi, devozionismi vari, cioè ha prodotto sudditanza, che è il contrario della liberazione)... Il Servizio autentico non è mai servilismo! La paura spinge alla chiusura, ad erigere muri, ad erigere strutture, magari rassicuranti perché potenti e grandi, ma gabbie, che, giorno dopo giorno, rischiano, se non siamo liberi noi, di richiuderci ancor di più. Noi dovremmo cercare Cristo e non una struttura che ci conforti chiudendoci (nella chiusura non ci potrà mai essere conforto autentico), "ricominciando", mettendoci in gioco a livello personale prima di tutto, la paura non è mai la nostra parte migliore, anche se le prove sono grandi in questo nostro viaggio! Il cammino di fede è il coraggio della ricerca, l' inquietudine del cuore, la consapevolezza profonda- sperimentata - che "la nostra luce ha sempre trovato la sua via attraverso l'oscurità, e c'e' speranza nella strada, sulla strada, davanti". E che il cammino si apre camminando. La Chiesa o e' in uscita, e cresce sulla strada, oppure non è Chiesa! Se abbiamo fede non possiamo non immergerci nell'umanità, soprattutto la più dolente, perché è solo a partire da questa immersione che può esserci concesso di riemergere per elevarci verso Cristo; e se abbiamo fede non possiamo non attrarre. Attrarre per le nostre scelte, per il nostro coraggio, per il nostro modo di vivere le relazioni, e di curarci tra noi, non avendo paura di sentire sulla pelle la vita, anche il dolore certo (non c'e' vita che non abbia dolore), anche gli errori, i fallimenti. "Sentire" per contrastare la cultura dello scarto e dell'indifferenza, per costruire la cultura della condivisione e della solidarietà. A partire dallo sguardo con cui guardiamo a noi ed agli altri, alle relazioni che sempre ci fanno da specchio. A partire dagli occhi, la loro espressione: in questo la crisi pandemica, come tutte le crisi, è anche opportunità, l'opportunità di fermarsi agli sguardi, la mascherina ci permette di vedere meglio gli occhi, lo sguardo, e di capire, anche l'amore... se riusciamo ad andare in profondità. A voi, amiche ed amici salentini un grazie: mi sono speso, senza risparmio, ma ho ricevuto molto di più, affetto soprattutto. E sto per raggiungere un traguardo che mi ero posto: tornare in Africa come missionario consacrato. Il futuro è aperto, camminiamo, insieme! Prima di salutarvi vorrei però spingervi ad essere voi l'acqua corrente e fresca in questo stagno di Salento! "Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo", siate coraggiosi, audaci anche, come testimoni della fede in Cristo Gesù, eppoi sufficientemente lucidi, maturi, onesti da riconoscere o meno l'autenticità nei professionisti, nei professori, nei politici, nei religiosi, in chi ha un ruolo di servizio...il potere va provocato, siate capaci di "spremerlo", di discernerne l'autenticità nel servizio, di esporvi, ed anche di provare a trasformarlo, a partire dalla trasformazione personale, intima, in ognuno di voi! E spingervi soprattutto a "sentire" la bellezza in ognuno di noi, la bellezza del mare, del creato, la bellezza di un volo di gabbiano all'imbrunire! La bellezza del seme di amore che c'e' in ognuno di noi! Se riuscite a vedere la bellezza in voi, riuscirete a vedere anche quella che vi circonda! Il Salento poi è di una bellezza disarmante! "Con questa fede uscirò e scaverò un tunnel di speranza attraverso la montagna della disperazione. Con questa fede uscirò con te e trasformerò gli oscuri ieri in luminosi domani” scriveva martin Luther King. Grazie per l'affetto, e sosteneteci. Che per i Comboniani questo anno è stato particolarmente forte, anche in negativo per la scomparsa di Padre Claudio, e per malattie che hanno colpito il nostro contesto. Vi lascio con queste parole, proprio di un comboniano, Lele Ramin, missionario ucciso in Brasile, perché difendeva i campesinos, i poveri, gli sfruttati . Scriveva- poco prima di essere ucciso dal potere che denunciava nel nome di Cristo Gesù - di un amore, di un sogno, ecco...fatevi ispirare dai sogni... «Abbiate un sogno. Abbiate un bel sogno. Seguite soltanto un sogno. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno. Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete non soltanto tutte le persone, ma anche i loro discendenti. È bello sognare di rendere felice tutta l’umanità. Non è impossibile». Che sia, la luce natalizia, dentro di noi. Grazie!...e...Ci troveremo, un giorno sulla strada!...non è un addio, ma a Dio... Fr Giuseppe L. Mantegazza Cavallino, 13/12/21

sabato 20 novembre 2021

Testimonianza a Lecce

La base di una mia testimonianza che ho condiviso nella Chiesa di S.Irene, in centro Lecce, ai giovani della Diocesi di Lecce...testimonianza che ha "lasciato il segno": Sono Giuseppe, novizio comboniano.  vivo a Cavallino, nella comunità comboniana, da ormai un anno, e se dio vuole tra qualche settimana dovrei prendere i primi voti, cioè consacrarmi alla missione, come missionario comboniano appunto.  Di solito sono spontaneo nelle testimonianze, ma stasera c'è qui il mio formatore Padre Giambattista. Siccome non vorrei fare troppe figuracce, stasera mi sono scritto qualche parola da condividere con voi, un po' di getto ma credetemi con autenticità ... Ecco io non vorrei risultare retorico, essere un pò palloso anche...Io alla vostra età il Sabato sera ero a fare baldoria...( anche voi forse dovreste essere lì...a ballare, o in un pub)... a me è "servito" anche quello...proprio perchè in quella "frenesia" da divertimento e consumo (sono nato e cresciuto a Milano figuratevi voi) sperimentavo un vuoto, e mi misuravo su un senso di "pienezza" che non si appagava, e quindi l'inquietudine, eppoi la ricerca. Siamo fatti per ricercare. Ma ricercare cosa? Sballo? Evasione? NO, siamo fatti per ricercare una vita piena. Parlare della mia chiamata non mi pare sia giusto, ogni chiamata è certamente universale , ma è anche misteriosa, personale, intima. Ed io non vi conosco. Vi posso però dire che la mia chiamata c'entra con la mia ricerca di una vita piena, appunto...e c'entra con il mondo, di cui mi sono innamorato, dell'Africa in particolare (ho avuto l'audacia, l'intraprendenza, anche la possibilità di viaggiare abbastanza, di fare esperienza di viaggi e di volontariato in missione, in diverse parti del mondo: nei Balcani, in america Latina, Medio Oriente, ma anche Stati Uniti, Messico, eppoi l'Africa appunto...dove ho vissuto per quasi 2 anni come volontario). E vi posso anche dire che la mia chiamata c'entra con Papa Francesco, con la sua (la nostra..speriamo) "Chiesa in uscita", di strada, prossima alla sofferenza dell'umanità, capace di accompagnarla, soccorrerla, curarla, come un ospedale da campo.E... c'entra con l'ambiente, la natura, l'ecologia integrale. La "Laudato Si" , meravigliosa e profetica enciclica sulla cura della casa comune, la salvaguardia del creato. Oggi sono stato alle Cesine, in bici: gli aironi che meraviglia! Siamo chiamati a sentire l'amore, e riceverlo, nella meraviglia del creato, Tutto mè connesso... il mare, le montagne, i gabbiani, i gatti, il nostro parco dei comboniani l'avete visto? Meraviglioso). Volete un gatto? Torno all' Africa: la  prima esperienza fu in Etiopia, in un orfanotrofio di bimbi sieropositivi. Ne vidi morire almeno un paio in quel mese di volontariato. Ero già praticante (cattolico- universale) , ma quell'esperienza mi diede una botta...una botta di grazia! Ed allora, questo certo posso rivelarvelo: questa mia chiamata personale ed intima, risponde ad una vocazione (universale ed intima) che riguarda Gesù Cristo, il suo annuncio, la sua testimonianza. Che riguarda i poveri, che riguarda il cammino, Il suo al fianco dell'umanità, ed il mio cammino, il nostro cammino. In Africa sperimentai una pienezza di vita! Innamorarsi dell'umanità e di Cristo! E su quel sogno di amore decisi, ormai 5 anni fà, di lasciare un "buon" lavoro, sicuro, in una importante azienda.Voglio anche dirvi che essere fedeli in Cristo non mi pare sia tanto seguire un insieme di dogmi, di precetti, di regole rigide... piuttosto la fede è un cammino coraggioso e radicale in noi stessi, per gli altri, per l'umanità. E' cammino del cuore che sà farsi amare e che ricerca e costruisce l'amore. Il senso della vita. "Essere amati ed amare". Raymond Carver, poeta e scrittore americano scriveva, poco prima di morire... "E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?Sì E cos’è che volevi?Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra" Non c'e' senso più "grande": la ricerca di una pienezza talmente radicale...da  permettere di donarci agli altri. Di perdere la vita per amore, per gli altri. Anche se gli altri non ci capiscono! E' l'amore più puro, più forte.  Ecco, Personalmente più che parlare della mia vocazione vorrei incoraggiarvi a camminare, a cercare con autenticità il bello ed il vero, a cercare Cristo, luce del Mondo, e non solo una "scheggia di luce" (titolo di questa serata). Ad essere inquieti, anche scomodi. Rompipalle soprattutto verso il potere. Pretendere che faccia il bene, contro le logiche mafiose e di chiusura! Di privilegi e di violenza, che ci sono anche dentro la Chiesa. Il potere è sempre violento e chiuso. Ed egoista. Tranne quello del servizio. Don Tonino Bello parlava di essere scomodi, di auguri natalizi scomodi (Natale alle porte, entriamo in Avvento)... di Chiesa col grembiule... Ecco,  io vorrei dirvi di non avere paura! Di non rifugiarvi nelle strutture, nel potere, nella sicurezza. Scacciate i mercanti dal tempio.  Il Vangelo è un cammino di liberazione, di non violenza, che non chiede un'adesione ad una idea rigida, e tantomeno in una ricerca di una struttura di potere "chiuso", che rassicuri. Il Vangelo non è rassicurante! Non è comodo! Ecco, Allora mettetevi in cammino, col grembiule,  Sarà un cammino esigente, una vita esigente. Ma anche una vita piena, un cammino pieno, di conversione, di speranza!  Posso solo dirvi in definitiva...(è solo questa la testimonianza che voglio lasciarvi)...che ne vale la pena! Che vale la pena! Che è possibile compierlo questo cammino di conversione, di speranza.  Ognuno nella propria realtà, ovunque...la missione è ovunque, la missione è in ognuno di noi! La missione è soprattutto nelle nostre relazioni, con chi ci sta vicino. Costruire relazioni sane è la prima missione! Siate coraggiosi, aperti al prossimo, al mondo. Il mondo è un luogo meraviglioso, ovunque abitato dal bene, da Dio. E' più Il bene, credetemi, che il male. Che certo esiste. E che va combattuto. Senza paura, con responsabilità. "se Dio ci ha fatti liberi siamo responsabili di quel che facciamo e di quello che non facciamo"...ovunque c'e' bisogno di cercatori di giustizia, di verità, di pace. Di cercatori di Gesù Cristo. Il sogno di migliorare il mondo non può che partire dal farsi migliori...oggi e qui.  Vi lascio con questo scritto di Lele Ramin, missionario comboniano ucciso in Brasile, perché difendeva i campesinos, i poveri, gli sfruttati . Scriveva- poco prima di essere ucciso dal potere che denunciava nel nome di Cristo Gesù - di un amore, di un sogno, «Abbiate un sogno. Abbiate un bel sogno. Seguite soltanto un sogno. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno. Sia il vostro un sogno che miri a rendere liete non soltanto tutte le persone, ma anche i loro discendenti. È bello sognare di rendere felice tutta l’umanità. Non è impossibile». Pregate x me, pregate x i missionari comboniani. Pregate x la Chiesa.

lunedì 8 novembre 2021

"Non Siamo Soli" Testimonianza Del "Mio" Tempo In Comunità Di Recupero.

Da diversi mesi ormai trascorro la Domenica pomeriggio con i "miei" ragazzi della comunità Arcobaleno. Del mio tempo passato qui a Lecce- e' proprio quando sto con loro- che più lo sento farsi pieno, di una pienezza che e' commozione, che è sentimento di misericordia, di pietà, di preoccupazione ma anche di energia, quella della trasformazione e della speranza, del "senso", anzi de "il senso", almeno quello della mia vocazione, della mia vita.
Quando scrivo di "miei" ragazzi non lo faccio in spirito e volontà di possesso, di narcisistica ricerca di visibilità personale, di strumentalizzazione ( che è sempre un rischio, anche sottilmente inconscio), piuttosto mi viene naturale chiamarli così, "miei ragazzi", perché tengo tanto a loro, e prego per loro, per il loro bene, perché possano sperimentare il sentirsi amati, per poter magari "guarire" ed amare a loro volta. Alcuni di loro non sono giovanissimi, qualcuno è anche più avanti di me nell'età, c'è però un ragazzo di 19 anni, che anagraficamente potrebbe essere mio figlio. Si chiama G., ed è stato affidato dal carcere un mese fa (quasi tutti i "miei" ragazzi sono in regime carcerario, affidati alla comunità perché seguano percorsi di disintossicazione e di affrancamento dalle dipendenze da droghe ed alcol- almeno questa è la speranza), e fin da subito, nelle mie domeniche pomeriggio di servizio, ho attratto la sua disponibilità a condividersi, a farsi ascoltare, ad interagire. Il suo dolore, enorme, tragico, con cui fa i conti da tempo, me lo ha spiattellato in faccia, fin da subito, con una lucidità " disarmante", ma non autentica: G. racconta del suo dolore "facilmente",  troppo facilmente, come se non fosse il suo, come se non gli appartenesse, come se facesse riferimento ad una persona terza, estranea a quel dolore. Le droghe, tante e varie, e l'alcol, come abuso, non erano che analgesici per lui: stordirsi per non sentire il dolore, per non vedere il mondo fuori, cosi' infame, spietato ed indifferente, e non solo perché lo ha ignorato, ma peggio, perchè lo ha anche sfruttato, sin da giovanissimo, anche come forza lavoro in nero nei cantieri della ricchissima Svizzera. Provo amore per tutti i "miei" ragazzi della comunità, ma per G. ancor di più, perché è il più piccolo, e forse, il più "ultimo" tra gli ultimi, se non altro perché temporalmente è proprio l'ultimo arrivato in comunità. Lo ascolto, ci gioco a biliardino, non a ping pong perché è proprio una schiappa.Vorrei aiutarlo, vorrei portarlo, dargli una spinta in questa salita che è la vita. Vorrei aiutarlo ad imparare a volare, almeno un po'. Aiutarlo a sperare, a credere che forse, un giorno, potrà sognare, magari una fidanzata, una casa, un lavoro ed una vita dignitose. Prima di venir via dalla comunità ho salutato i "miei ragazzi", avrei voluto abbracciarli tutti, ma le restrizioni per l'epidemia di covid giustamente non lo permettono, e vanno seguite...andrebbero seguite, perchè con G. non ci sono riuscito, e l'ho abbracciato. L'ho salutato, ci rivedremo la prossima Domenica a Dio piacendo. Non posso fare altro, condividere un po' di tempo con lui, guardarlo in volto, nei suoi occhi, oltre il suo sguardo spento, di un sorriso superficiale che prova a nascondere tristezza, di uno sguardo indifferente e vuoto, da cui, sotto, traspare un grido, immagino di rabbia e di dolore. Condividerla quella sua rabbia e quel suo dolore.
Farli uscire, dargli spazio, in un abbraccio, sincero. Vorrei, più che raccontarglielo, testimoniare che il dolore va attraversato, dandogli un senso, sapendo che non siamo mai soli, che c'è una luce che ci muove, a cui non solo aneliamo, ma a cui siamo destinati. La risurrezione non è un concetto astratto, o solo teologico, ma un cammino da compiere, quello del Vangelo, verso la liberazione anche da tutte le sovrastrutture- persino sociali e culturali e di convenzioni- di dolore, di chiusura e di morte, che ci affliggono, che affliggono i luoghi ed i contesti che viviamo.  Risorgere dalle nostre morti e' possibile: questo, di per sé, è già il senso primo ed ultimo della nostra esistenza credo, lo sforzo di un cammino da compiere, nella croce, nella preghiera da gridare col cuore.
Testimoniargli che cio' che vive ed ascolta la Domenica nella Messa che celebriamo in comunità, la liturgia, i canti, la preghiera, il Vangelo e l'Eucarestia soprattutto, sono parte di un cammino, del cammino, che non può, ma soprattutto non vuole, evitare il dolore, ma che però può attraversarlo, dargli un senso, trasformarlo. E Liberarlo, liberandoci. A partire dalla  piu' grande verità: e cioe' che non siamo soli. Che tu G. non sei solo.
Giuseppe L. Mantegazza

mercoledì 3 novembre 2021

"La Mia Opera Non Morirà"- A Padre João

A seguire una mia riflessione alla testimonianza del comboniano Padre João, da ormai diversi anni allettato per la SLA, che ha appena compiuto 70 anni di vita! La testimonianza di Padre João è a questo link: https://comboni2000.org/2021/10/28/la-mia-opera-non-morira-con-te/ Padre João, auguri per i 70 anni di vita! E grazie per la tua "la mia opera non morirà", con cui condividi parole di malinconia per il tempo fuggevole, per questo soffio, brevissimo, che se si fa però respiro d'amore rimane eterno; grazie per la speranza che sento rimanere viva in te, attraverso queste tue parole, attraverso la tua lucidità nell'inviare, come notifiche alla tua mailing list, riflessioni ed articoli sempre importanti, mai banali. E grazie soprattutto per la preghiera a cui tieni di più, perché, più o meno direttamente, è proprio rivolta anche al sottoscritto, perché novizio (non proprio giovanissimo), l'unico, fino a pochi giorni fa, europeo, che tra l'altro ha vissuto un periodo di noviziato proprio in Portogallo, paese che mi ha affascinato per la sua bellezza malinconica, così ben espressa anche nella musica del Fado, bellezza malinconica di cui sono impregnati gli spazi, ed i tempi, di confine. I lembi di terra, e di tempo appunto, di fine. Così come lo è il Portogallo- terra di passaggio tra il noto e l'ignoto del mare, nella sua maestosità dell'oceano, del suo orizzonte che si protende all'infinito - confine e fine dell'Europa. Credo sia proprio sui confini che la nostalgia si faccia più intensa, e che nella nostalgia si espanda il desiderio di Dio, la ricerca del suo mistero. Ti scrivo perché provo a comprendere la tua inquietudine, che non sento di rassegnazione, nel tuo prepararti a "lasciare", malinconicamente certo, ma anche con la tentazione che ben descrivi del "muoia Sansone e tutti i Filistei": " mi assale la tentazione di pensare come Sansone: che tutto crolla e muore con me. E chiedo a Dio un segno: di poter vedere che qualcuno riprende dalla mia mano la fiamma, qualcuno qui, nella nostra provincia di origine, in Italia e in Portogallo". Anch'io, Padre João, mi sto preparando a "lasciare": tra poco tempo, non più di due mesi, lascerò il posto da cui ti sto scrivendo, la comunità comboniana di Cavallino- Lecce, in cui vivo da ormai 10 mesi, dopo aver vissuto, e lasciato, negli ultimi tre anni ormai, almeno altre quattro comunità, con le rispettive realtà umane ed ambientali. Provo già malinconia per il momento del distacco, di un nuovo "strappo": dalla comunità dei confratelli che mi ospitano, dalla gatta ed i suoi gattini di cui mi occupo, dallo splendido "parco dei comboniani", in cui passo ore a lavorare e camminare, anche a contemplare, eppoi "lo strappo" dalle persone con cui ho iniziato a costruire relazioni di cura, di ascolto, di confronto e dialogo, anche di affetto. Sto sperimentando malinconia, come più volte è successo nella mia vita nei momenti di "distacco": eppure ho sentito che è proprio in questa malinconia, in questo "strappo", se viene trasformato in salto (che sento di libertà se riesco ad essere sempre più libero) che sento più vicina la misericordia ma anche la potenza di Dio. La sua onnipotenza. Quella della libertà e dell'amore liberato. E' nella malinconia del lasciare che si fa più intensa la ricerca di Dio, è nella malinconia dell'orizzonte e del confine che è possibile, più che altrove, sperimentare il volto misericordioso ed onnipotente di Dio. Ai confini Del Tempo. In questo periodo della mia vita, sento che la risonanza più profonda mi è rimandata dalla relazione che ho con il tempo. Che ho sentito scorrere veloce, che ho sentito sempre come poco, inafferrabile, facendomi sentire un pò sempre in ritardo, ma anche, sempre, ancora in tempo. Sto sperimentando che è il presente il tempo di vivere, sentire ed amare: vivere, sentire ed amare ciò che faccio, le relazioni, la bellezza che mi circonda. Di vivere, sentire ed ed amare il mare ( certo non è l'oceano Atlantico, ma sia l'Adriatico che lo Ionio qui in Salento sono splendidi), eppoi il cielo di qui che guarda ad oriente, ed il parco e gli animali che ci vivono, e di vivere, sentire ed amare le persone che incontro, soprattutto gli emarginati, "gli ultimi" che provo a seguire; ed ancora di vivere, sentire ed amare le strutture che vivo, senza però perdere capacità e spirito critici, chiedendo i doni del discernimento, della sagacia e della parresia. La sinodalità è cammino "inquieto", è dialogo e confronto, anche animato, che non coincide mai con "un superficiale quieto vivere", e neppure può coincidere con il "si è sempre fatto così", tantomeno con il "farsi dire solo ciò che vogliamo sentirci dire". La sinodalità non può che crescere in una dinamica di servizio, non di servilismo. Sinodalità è saper comprendere, accogliere, accettare anche ciò che ci dicono e che non vorremmo sentire, se questo concorre al bene, per cambiare, per convertirci, insieme. Sinodalita' e' provare, insieme, ad aprire alla luce quei ( pericolosi) coni d'ombra che ancora ci sono nella Chiesa e nel mondo. Un tempo come kairos. E' il tempo il bene più prezioso, ecco perché sono soprattutto i potenti che provano a comprarlo, anche a "rubarlo", vorrebbero "accumularlo" come surplus, come fanno con le ricchezze materiali, patteggiando col diavolo. Ma più in generale, oggi più che mai, è l'uomo a credersi illimitato, senza confini, tanto che pare volersi bastare a se stesso. Niente di più illusorio. Vivere come se il confine non esistesse e' rinnegare Dio, quindi rinnegare se stessi, la propria origine, la propria vocazione e meta finale. E' solo con la consapevolezza della nostra finitezza che ci si può mettere in relazione con l'infinitezza. La malinconia dell'infinito e' la malinconia dell'uomo verso Dio. Il tempo non è nostro. "l'uomo crede di misurare il tempo e di misurare Dio, ma sono Dio ed il tempo a misurare l'uomo". Ecco, se c'e' una cosa che sento forte, anche come sviluppo di questo periodo di noviziato, è proprio il sentirmi, forse all'inizio, di un cammino verso un totale distacco dal tempo, il sentire che non mi appartiene, ma al contrario, di appartenere ad esso. E' l'entrare in una logica di infinito, di amore ad immagine di Dio, in cui tutto viene trasceso, persino le coordinate spazio-temporali. L'ultima, finale, liberazione, è quella dal tempo. Itineranza e stabilità del Comboni. Proprio in questo senso credo che il Comboni avesse fatto esperienza del tempo: da una parte una continua itineranza di azione ( fino ai confini del mondo allora conosciuto) e di spirito e di pensiero (quest'ultimo mai stantio o fermo, mai inadeguato alla realtà che ha affrontato, ma profetico proprio perché capace di vedere oltre la realtà, anche di trascenderla, standoci e trasformandola), dall'altra, parallelamente, un fondamento, una radice di benevolenza, di speranza, di seme profondo da cui sgorgano bene ed amore. E' la stabilità della certezza dell'amore, della passione, come è nell'immagine del sacro cuore di Gesù, quel cuore trafitto da cui "sfavilla" vita, da cui "sfavilla" amore per l'umanità, e tanto più l'umanità è sofferente, lontana, "abbandonata", tanto più è intenso l'amore che dal cuore di Gesù sfavilla. Così come ha sfavillato dal cuore del Comboni, così come dovrebbe essere dal nostro, di cuore, se siamo alla loro (di Cristo e del Comboni) sequela. In questo senso, "l'opera non morirà", mi pare sia certezza e non auspicio, da "leggere" non tanto in una dinamica meramente "spazio-temporale", in una logica di occupazione di spazi, di continuazione delle opere (che certo rappresentano segni importanti), quanto in una logica più profonda, di testimonianza di amore, di seme che lascia, se è autentico, una traccia indelebile, eterna, liberata dallo spazio e dal tempo. Di seme che lascia un ricordo, che è portare nel cuore. La malinconia del passaggio, del confine, è certamente abitata dalla grazia. La malinconia del passaggio, del confine - di quello che è stato, dell'amore donato, di una vita spesa nell'amore - e di quel che sarà - è certamente abitata dalla grazia. Personalmente non ho mai sentito così forte la presenza misericordiosa di Dio proprio nella malinconia di una fine, di un passaggio verso l'ignoto, verso lo sconosciuto. E' necessario perdersi nel mistero. Ti auguro, caro Padre João, di viverlo pienamente questo tempo, di grazia, di presenza forte di un cuore, e di un amore, che continueranno a sfavillare, ad agire. Ti auguro di starci in questo tuo tempo. La malinconia e' tempo di grazia particolare, straordinaria. L'amore, se autentico, nella trascendenza in Cristo, e' inconfutabile, indelebile. Anche se invisibile agli occhi del mondo. Gesù ha già vinto, così come ha già vinto il Comboni. Così come vince ogni discepolo che ama e testimonia di quell'amore per cui siamo creati. Se abbiamo accarezzato l'umanità, i suoi piccoli, i suoi più abbandonati, allora non passiamo. E' di questo che dovremmo fare esperienza: da vivere, testimoniare e comunicare. In una comunicazione affettiva, calda, non fredda e burocrate. La malinconia dell'attesa. La nostalgia di Dio è abitata da Dio stesso, ed il con-fine è il luogo d'incontro privilegiato con Lui. L'opera non morirà, anche se non dovessero esserci più novizi in futuro (con l'auspicio che non sarà così, ma soprattutto con l'auspicio che si avviino processi di sinodalità, capaci di "svuotare" le note di potere- rigidità- chiusura/ autorefernzialita' di cui ancora soffre la nostra Chiesa, note che contribuiscono anche ad allontanare giovani di buona volontà). Buon tempo di nostalgia e di grazia. Buon tempo per, con, in Cristo. Giuseppe L. Mantegazza (novizio comboniano), Cavallino, Lecce. 2 Nov 2021

giovedì 21 ottobre 2021

"Le Due Facce Della Luna", Il Suo Sorgere Sul Mare.


 "Le due facce della luna, una chiara l'altra oscura".

Da un porticciolo nascosto sull'Adriatico osservo il sorgere della luna, verso est. 
E' piena, si alza in cielo riverberando il suo riflesso nel mare quieto, mentre i pescherecci, come puntini di luce, tratteggiano la linea dell'orizzonte.
Non c'è ombra che sia ferma, non c'è raggio di luce che non sia in movimento.
Eterno, quello del mare, della vita, il cui mistero e' indissolubilmente legato al tempo - movimento irraggiungibile, impossedibile.
Non rimane che abbandonarsi alla fede, nella vita, nell'eternità.
GLM 



venerdì 27 agosto 2021

4 Mesi D'Autunno (E Di Noviziato Ancora)


 

Ormai mancano esattamente 4 mesi alla fine di questo noviziato, poi i voti, poi l'Africa. Questo è il programma, che poi sarebbe il raggiungimento di un obbiettivo. Tornare in Africa, x di più  dopo aver superato prove, "senza risparmio, con coraggio, e senza compromessi", proprio x citare le parole di una cara amica, ed anche senza sconti aggiungerei io. In questi anni sono diventato un po' più forte, consapevole, un po' più benevolo, soprattutto più  capace di giocarmela nelle relazioni ( la cosa più importante) alla pari, nel possibile, in autenticità...

Ora ho davanti quest'ultimo periodo, autunnale, e qui in Salento dell'autunno inizio a sentirne le atmosfere: gli odori, le piante bagnate, l'umidità del bosco, il fresco che inizia ad avvolgermi durante la camminata alla luce di una torcia, al buio, dopocena nel parco qui dei comboniani di Cavallino ( con gatta, ormai amica, che mi accompagna, ed altri gatti che curiosando osservano, riconoscendomi come gattaro affidabile e gentile) . 

Dopo 2 mesi e mezzo di caldo accelerato, da 2 giorni piove ad intermittenza, con forti temporali che hanno abbassato di molto le temperature.

L'autunno l'ho sempre amato: l' inizio della stagione per l'energia che si accumulava in estate, pronta a spalancare sogni e progetti, pronta a rinnovare propositi, speranze, impegni...poi verso la fine, pian piano andando verso l'inverno,  i colori brulli ed allo stesso tempo luminosi dei paesaggi, le foglie dorate, le piante impazzite per la straordinaria bellezza dell'ultimo sussulto di vita, prima della fine. Così come i tramonti, la meraviglia finale, la traccia più bella, il ricordo più indelebile.

L'autunno delle valli  incastonate tra i laghi e le montagne ( dove sono le mie radici affettive con la terra, pur essendo io nato a Milano), ma anche l'autunno del celebre ed unico foliage del nord America, ma anche la solitudine tempestosa dell'Atlantico in Portogallo. 

E poi ancora la lucidezza del mare di Sicilia l'anno scorso, le sue spiagge vuote, ed io unico, a fare il bagno ( fin quasi alla fine di Novembre, ma nulla di così temerario, visto che le acque erano ancora tiepide, non certo fredde x uno abituato a nuotare, già dall' inizio delle estati, da piccolo, nei laghi di Lugano e Como)...

L'autunno, confido in lui, lo vivrò nell'apice del discernimento...ammirando il bosco, le piante, i fiori  del parco, ed il mare, che mi è  ancora più lieve d'autunno...

Vorrei arrivare all'Africa, di nuovo, forse proprio per confrontarmi con un me "rinnovato", forse cambiato, forse in grado anche di stare  in piedi senza l'Africa stessa, forse in grado di decidere, ma lì ed allora,  e di ammettere che gli obbiettivi cambiano, che noi cambiamo. E che non siamo in funzione di essi, ma in funzione del cammino. Il cammino si apre camminando...

"Un tempo veloce, un attimo fuggevole,

strade percorse, sentieri di vita, memorie d’uomini,

passi  che si fanno affannosi, l’orizzonte vicino ci attende.

E’ l’autunno, che di colori e’  tripudio, il piu’ caparbio,

il  piu' strabiliante inno alla vita,

 tenacia di speranza".


" Autunno caparbio,

proteso all'estate trascorsa,

 il tuo sole  ricorda un illusorio Agosto, 

 il tuo calore ci 

illude d'immortalita'.

Autunno,

 che di colori sei tripudio,

 fai  affievolire il verde

rigoglioso,

e divampare, su monti  imbruniti,

Il rosso vermiglio di foglie tremolanti.

Autunno, 

preannuncio di 

un bianco candor,

di un brivido freddo che smorzera' quest'illusorio calor.

Autunno, 

palco ed attore dell'ultimo e piu' strabiliante spettacolo della madre della vita,

colmi noi spettatori, della

speranza di un lieto fine"

GLM

mercoledì 28 luglio 2021

Lasciarsi Amare: Testimonianza Di Un Cammino Di Vita. Etiopia 10 Anni Dopo.

 È più facile amare, oppure lasciarsi amare? Ma e' possibile amare realmente se non siamo disponibili a farci amare? 

Praticare una certa formula con cui si cerca, si crede, di amare - ognuno a modo proprio, senza perdere il controllo e la gestione su se stessi, sulla propria autosufficienza e chiusura, sui propri preconcetti, sulle  comodita' che ingabbiano - non è che un surrogato dell'amore. Perché, in effetti, puo' realmente una  dinamica che non mette in gioco in profondità, che non provoca e compromette, che non richiede un'apertura di fondo, spirituale anche, essere un amare autentico?
 Il lasciarsi amare, al contrario, richiede apertura, umiltà e docilità, ed obbliga a scoprirsi, a denudarsi, ad abbandonarsi fiduciosi a qualcun'altra/altro, a qualcos'altro che è simile ad un abbraccio liberante, di redenzione, di conversione alla vita. È in quell'abbandono, quando è lucido e consenziente, che è possibile sperimentare l'amore su noi stessi, quello libero e disinteressato, capace, come conseguenza, di renderci capaci di amare autenticamente. E' l'abbraccio d' amore che dona e fa sperimentare su sé stessi, se accolto, misericordia e compassione.
Un simil abbraccio l'ho sperimentato in Etiopia, di un'intensità tanto forte da avermi fatto "virare": ben inteso, non credo che esperienze "estemporanee" seppur "forti", possano far cambiare la vita, semmai credo  ai processi, alle direzioni verso cui tendere, direzioni che, se perseguite con costanza, giorno dopo giorno ci trasformano. E credo altresì che nella vita, alcuni episodi, alcune esperienze, particolarmente capaci di "toccarci" in profondità -  di aprirci ad una luce (esterna?), di toccarci ed accarezzarci le ferite, e magari anche in parte di alleviarle, se non di risanarle- possano essere l'inizio, come una spinta improvvisa, leggera ma potente, di un processo di trasformazione. Credo sia la virata che parte dallo spirito. 
Esattamente 10 anni fa arrivai per la prima volta ad Addis Abeba, come volontario in un orfanotrofio per bambini sieropositivi, fu la mia prima esperienza africana: molto dura all'inizio - nonostante avessi già alle spalle numerosi viaggi ed esperienze di volontariato in Italia (tra tutte quelle in una comunita' di recupero ed in carcere minorile) e di volontariato missionario all'estero (America Latina, Medio Oriente, Balcani) - quella mia prima africana, fu certamente una delle esperienze più "impattanti" nella mia vita, ma ci vollero altre esperienze di quel tenore umano e spirituale, altri incontri provvidenziali ed importanti (siamo anche gli incontri che abbiamo avuto), insieme ad una buona dose di perseveranza, di costanza ed impegno, a consentirmi di proseguire nel cammino, nel processo che sto vivendo. Un processo di conversione. In ogni caso, fu anche a partire da quella prima esperienza africana che iniziai a decidere di decidere, cioè a decidere di giocarmi la vita, e non più di giocare con la vita, e, pochi anni dopo quella  prima esperienza, che replicai costantemente negli anni successivi, decisi di lasciare un lavoro sicuro e tutto sommato "privilegiato" in una grande azienda di comunicazioni a Milano, e di rompere così apparenti monolitiche piccole certezze "borghesi" (lungi dall'essere il mio un giudizio sul "casa, lavoro, famiglia", come istanze di vita, perché, se vissute come "valori" in autenticità e consapevolezza, e con una discreta coerenza e testimonianza, credo siano nobilissime).
Ad Asco- periferia estrema di Addis Abeba, e forse anche del mondo- in un orfanotrofio per bambini malati di Aids, in cui  stetti per un mese, mi imbattei nella morte (nel senso che vidi bambini denutriti e sieropositivi morire): la morte- tanto nascosta dalla narrazione imperante in occidente, relegata a soli piccoli perimetri "lontani" e "nascosti"( almeno nel mondo pre- covid) come quelli di alcuni reparti ospedalieri o di case di cura -  in Etiopia mi si spiattello' addosso, come uno schiaffo improvviso, che prima mi tramorti', poi mi mise al muro. Ma, in effetti, quasi sempre va così, perche' caparbi ed ottusi come siamo (perdonatemi l'imprudente generalizzazione), il più delle volte è solo quando ci troviamo con le spalle al muro - magari per un lutto inaspettato o no, oppure per una malattia, od un inconveniente doloroso - che allora ci "arrendiamo", "ci abbandoniamo".
Lì, ad Asco, non avevo scampo, non potevo scappare, non potevo modificare in nessun modo una realtà così dura, non potevo modificarla nemmeno nel mio pensiero, aggrappandomi, come credo di aver fatto in precedenza in America Latina od in medioriente a sovrastrutture  esterne, anche di ideali od ideologie politiche. Ero nudo: l'Africa, nella sua realtà "spietata" ma armonica e "vitale", mi aveva spogliato completamente. E, proprio allora, quando mi trovavo nel mio "punto" piu' fragile, nudo davanti ad una realtà così dura ma piena, così provocante ma concreta, cosi' reale e totalizzante nei sensi, nell'olfatto soprattutto ( sollecitato com'ero, incessantemente - contemporaneamente - da profumi inebrianti e da odori stomachevoli), mi sentii amato, sperimentando compassione su di me. Fu un'esperienza affettiva, di puro amore.
Mi pare occorra passare per la morte per risorgere a vita nuova, morire a se stessi per farsi raggiungere dall'amore. La fede cristiana è fondata su questo paradosso, a partire dalla passione. In Etiopia quel paradosso lo sperimentai. E fui testimone di una gioia per la vita che mai, prima di allora, avevo visto cosi' intensa, e mai, la vita, la vidi celebrare così gioiosamente, e proprio accanto alla morte. Di nuovo quel paradosso!  Fu un ricominciare per giocarmi la vita, e non più per giocare con la vita, a partire dall'amore che sperimentai su di me. Mi sentii amato intimamente; piansi molto, gioii ancor di più in quel mese. Le mie inquietudini, fonti straordinarie di energie che non fanno accomodare, non si placarono, ma si addentrarono in cammini di fioritura.
Non vorrei andare oltre, senza alcuna pretesa, credo sia tempo di riassuntive risonanze, da condividere: l' amore è cammino che richiede una buona dose di pazienza, coraggio, apertura, voglia di mettersi in gioco e di buttarsi, dove contano le domande, non le risposte. Mi pare ne valga la pena, perché Il senso sta lì, nel rendersi disponibili all'amore, nel lasciarsi amare. E, proprio a partire da questa esperienza e disponibilità, cominciare a costruire, a spendere la vita insomma, su quella che è  la cosa più grande: l'amore che sperimentiamo su di noi, per amare. Così che il nostro agire sia mosso da compassione. E' l’amore evangelico, quello che  può nascere solo dalla compassione tra noi, e' la buona notizia, la speranza della fioritura del nostro essere per  la definitiva consegna all’eternità. Con la speranza di entrare nel cuore della morte e scoprire che è un varco di Resurrezione.   
Segnare un cammino, non un orizzonte, perché è lo stesso camminare che ci fa scorgere nuovi orizzonti. Sara' cammino esigente ma fecondo e rigenerante. C'è da crederci.
"In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati"(1Gv 4,10)

23/07/21 Comunità Monastica di Bose ad Ostuni
Giuseppe L. Mantegazza
Dedicato all'amico Paolo Caneva (qui in una bella e recente immagine con la sua famiglia), ex missionario laico fidei donum in Etiopia, dove ha testimoniato l'amore di Cristo attraverso il servizio agli ultimi della Terra. Dopo essere rientrato a Dicembre scorso in Italia per "ricominciare" con la sua bella famiglia (la moglie etiope Shitaie, 2 figlie e 2 figli, più una ragazza adottata), qualche settimana fa e' rientrato in Etiopia, per una breve visita ad alcuni progetti che continuava a seguire dall'Italia. Purtroppo, proprio lì ha contratto il Covid, che lo ha "strappato" alla vita prematuramente. Che mistero la vita. Forse era scritto che dovesse morire proprio nella sua amata Etiopia
 Ha amato ed e' stato amato di più. Riposa in pace caro Paolo. E grazie per tutto quello che hai fatto. 

Ad Ostuni, Nella Fraternità Di Bose, Si Custodisco Le Piccole Rondini, Pronte A Spiccare Il Primo Volo

 






Comunità Monastica Di Bose Ad Ostuni
































 

venerdì 9 luglio 2021

La Solita violenza, S.Maria Capua a Vetere, E la Solita Chiesa

Celebrazioni continue ( il più delle volte autoreferenziali), rigidità e "spauracchi" su tanti temi, in primis quello sulla sessualità.

Ma poi?

Personalmente interessa più questo...



Terribile, indegno!
 Ecco...mi piacerebbe che come Chiesa costruissimo autentici cammini di bene,
educativi e non violenti...
Quello a me interessa
E, umilmente, quello credo interessi soprattutto a Cristo Gesù.
 Umilmente lo esprimo...ma convintamente

Il Papa Gesuita Ed Il "Gattopardismo"

 L'Italia? Un paese unico, meraviglioso, di una varietà straordinaria, specie nei suoi paesaggi, nella sua arte e creatività; nella sua  umanità e solidarietà, a sud come a nord, ma anche, purtroppo, paese "arretrato", pieno di balzelli, chiusure, ipocrisie, corruzioni, bigottismi vari. Chissa', forse si puo' tentare di comprendere, almeno in parte, questo paese provando a comprenderne la sua storia, e quella della sua istituzione appunto più "storica", più rappresentativa e radicata, piu' potente (ora sempre meno), che ha il suo centro proprio nel cuore dell'Italia, su cui ancora esercita una spinta e risonanza che non hanno eguali in nessun'altra parte del mondo, non più ormai nell'America Latina, e nemmeno più nella Croazia ormai sempre più post- ustascia, o nel Portogallo sempre più post-salazarista, o nell'Irlanda secolarizzata.

Mi riferisco alla Chiesa Cattolica, quella che ne ha influenzato, condizionato, ed anche permeato, i costumi, la cultura, finanche alla morale ed alla prassi, ossia al modo di vivere e di gestire le relazioni individuali e comunitarie, di gestire il potere, ed anche di gestirne- purtroppo spesso e' così che ci narrano le cronache quotidiane- i tanti intrallazzi, che si reggono ed alimentano costruendo retoriche artefatte e doppiogiochiste, ed anche ipocrite, che tanto caratterizzano (anche se non c'è solo quello grazie a Dio) la politica e gli affari.
 La Chiesa, e' inutile farsi troppe illusioni, nella sua " struttura", e' principalmente forza di conservatorismo più che di apertura (anche allo spirito temo), piu' di privilegio e d'intrallazzi che di servizio. Ed ancora, più di rigidismo, patriarcalismo, e persino "militarismo", che di tenerezza, accoglienza, misericordia. Più di fortezza militare di controllo (come una torretta di un check point), che ospedale da campo (in effetti anche quest'ultima immagine, tanto utilizzata da Bergoglio, a volerla dire tutta, fa riferimento ad una struttura che e', nella sua concezione, militare) .
Bergoglio, appunto: le tante speranze accese, i processi avviati (solo avviati?), il discernimento, e poi, nell' ultimo periodo soprattutto, le parziali "retromarcie" sulle grandi questione poste nel sinodo amazzonico, ed ora in quello tedesco, ed anche la semichiusura al ddl Zan.
Legittimo rallentare per consentire, a chi in buona fede è rimasto indietro, di non perdersi, legittimo rallentare i processi per non "strappare", legittimo discernere e decidere di non "perdere" la parte buona del popolo di Dio- che non è quella dei rigidi, dei difensori della dottrina, dei sovranisti ed identaristi che attaccano questo Pontificato per difesa di interessi torbidi, quelli delle "strutture di male e di peccato" giusto per parafrasare proprio Bergoglio- per non dividere ancor più il popolo della Chiesa che ha una complessità ed universalità che non ha, come patrimonio, nessun'altra Chiesa (se è vero che quelle protestanti, calvinisti e del nord Europa, hanno si un pensiero più aperto e moderno, e rivolto al futuro, è altrettanto vero che un processo di avanzamento in positivo del mondo e dell'umanità in generale, non può che soprattutto passare dalla Chiesa Cattolica, unica istituzione veramente "globale" con i limiti delle continue oscillazioni che questo comporta, ma anche con le opportunità di poter arrivare in quasi ogni angolo di mondo), ma rimane pur vero che, per quanto i gesuiti siano capaci di stare, comprendere, discernere ed anche orientare il mondo (tra l'altro, vi siete accorti che Biden, Macron, Draghi sono legati a doppio filo ai gesuiti?), aime', la componente cerchiobottista e gattopardiana è una delle loro "essenze".

A proposito: "se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», affermava uno dei protagonisti del romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tancredi, questo il suo nome,  era nipote del principe di Salina, nella cui casa la direzione spirituale, guarda caso, era affidata a Padre Pirrone, proprio un gesuita.
Lunga vita a Papa Francesco, che stimo e condivido, forse a dismisura...
Giuseppe Luca Mantegazza

martedì 25 maggio 2021

Otranto Ed Il Punto più Orientale D'Italia

 Oggi "gita" ad Otranto, una vera perla, ricca di bellezze naturali, storico-artistiche e culturali: visita alla cattedrale (mix di stili bizantino-romanico-normanno), con la cripta (in stile bizantino-ortodosso), con le reliquie degli 813 Martiri di Otranto (uccisi nel 1480 dai Turchi guidati da Gedik Ahmet Pascià, per aver rifiutato la conversione all'Islam dopo la caduta della città. Sono stati canonizzati il 12 maggio 2013 da papa Francesco), con il meraviglioso "albero della vita", Il mosaico che ricopre il pavimento delle tre navate ed è opera del monaco Pantaleone, eseguito su commissione del Vescovo di Otranto, tra il 1163 e il 1165, che rappresenta uno dei più importanti cicli musivi del medioevo italiano.

Infine visita al lago di Bauxite ed al faro di punta palascia, il punto più a est d'Italia.