domenica 25 ottobre 2015

Rose Spinose D'Africa.


L' Etiopia, in pochi anni, e ' diventata la nuova frontiera della produzione di fiori, una frontiera comoda e remunerativa per le grandi multinazionali del settore,
quantomeno controversa per l'ambiente naturale circostante le chilometriche serre, e per quelle decine di migliaia di dipendenti etiopi, soprattutto donne, che lavorano nella produzione.
Se in un supermercato occidentale, anche italiano, state adocchiando delle rose da comprare, per farvi un regalo, da regalare per un anniversario, o per dichiararvi alla vostra innamorata,
puo'  essere che vi stiate imbattendo in fiori prodotti nel paese del Corno d'Africa.
A Zway (in italiano Zuai), piccolo centro 200 km a sud di Addis Abeba, nelle vicinanze della strada panafricana che dalla capitale etiope conduce a Nairobi, capitale del kenya, sorge la piu'  grande produzione di rose in Etiopia, quella dell' olandese Sher.
Tanto per darvi un' idea : Zway ha una popolazione di circa 40 mila persone, la Sher impiega, in questo stabilimento, quasi 15 mila persone, quasi tutte donne,
quindi e' come se quasi tutte le abitanti di questa cittadina etiope, fossero impiegate nelle serre chilometriche che si affacciano sull' omonimo lago, conosciuto per essere l' habitat di numerose specie, anche rarissime, di uccelli, e perche', secondo la tradizione, nell'antichissimo monastero copto, che sorge sulla cima dell' isola, nel  mezzo alle acque del lago, sarebbe stata custodita, per sette anni, prima di essere nuovamente riportata ad Aksum, l'arca dell'Alleanza.
Una frontiera, quella della produzione di rose in Etiopia, che segue, non solo geograficamente, a quella ormai superata, perche' scomoda e sconveniente economicamente, del Kenya,
dove gia', nei primi anni del duemila, alcune organizzazioni ambientaliste lanciarono l’allarme per l’uso incontrollato dei pesticidi,e dove la giustizia condanno' per sfruttamento diverse multinazionali del settore.
Dunque dal Kenya ci fu', gia' una decina di anni fa', un esodo verso l'Etiopia, le ragioni principali:  costi di produzione piu' bassi (anche perche' in sole tre ore di spostamento con enormi tir, si trasportano i carichi verso l'hub principale d'Africa, l'aeroporto Bole di Addis Abeba, dove successivamente le rose vengono caricate sui cargo direzione Amsterdam, centro mondiale di smistamento dei fiori recisi)
e manodopera locale ancor più a buon mercato, quasi tutta femminile, dai diciassette anni in su'.


Nessuna delle lavoratrici indossa guanti o grembiuli da lavoro, nemmeno l’ombra di mascherine per difendersi dai pesticidi, temperatura, nelle serre, che si aggira normalmente sui 40 gradi, un salario per i dipendenti della Sher di Zway, mediamente di 800 birr mensili (meno di 40 euro).
All'interno di questa immensa sede, la multinazionale ha costruito un ospedale, un asilo ed una scuola per i figli delle dipendenti, che pero' si ammalano con sempre piu' frequenza, e sempre piu' sono i casi di aborti spontanei.
Questa coltivazione intensiva di rose, richiede grandi quantita'  d'acqua, che viene prelevata ed infine sversata, al termine della filiera, nel
lago adiacente lo stabilimento, dove, peraltro, i locali portano il bestiame ad abbeverarsi.
Acqua che entra pulita e fuoriesce inquinata: probabilmente di prodotti chimici e pesticidi,  gli stessi che pare compromettano la salute delle dipendenti di questa produzione.
Ma il business delle rose d'Etiopia,  pare ormai inarrestabile, per gli incentivi che il governo di Addis Abeba, in piena frenesia di crescita (il pil etiope cresce da quasi un quinquennio mediamente del 10% annuo),
concede alle multinazionali che investono ( per i primi cinque anni di attività non pagano alcuna tassa, l’importazione dei macchinari e delle infrastrutture avviene senza spese doganali,  l’affitto mensile della terra costa poco)
e per l'enorme bisogno di lavoro che vi e' in questo paese, fino a pochi anni fa' uno dei piu' poveri in assoluto del Mondo.

L'unica voce di denuncia, rispetto a queste situazioni “sospette” di sfruttamento, rimane quella dei missionari cattolici presenti sul campo.
In particolare sono i missionari salesiani di Zway , presenti con una grossa  missione con scuola primaria e secondaria, biblioteca, oratorio,  proprio a pochi chilometri dalle serre, a raccogliere le numerose testimonianze di donne con  problemi di fertilita’ e di vista, dopo aver lavorato nelle serre, ed a denunciare lo stato cui sono sottoposti i dipendenti della multinazionale europea di rose, costretti a lavorare in condizioni faticosissime,  senza alcuna tutela sindacale e sanitaria.


martedì 6 ottobre 2015

Periferia E' Frontiera Dello Sviluppo.

Papa Francesco, da buon gesuita missionario, sa' bene che e' volgendo lo sguardo alle periferie fisiche e dell'animo,

che e’ andando sulle frontiere, che si sviluppano il pensiero, (non solo quello religioso, umanistico e politico, ma persino quello scientifico), ed il sapere come autentico progresso per l'umanita'.

Non e' solo pratica teologica, scelta preferenziale per i poveri: stare fisicamente nelle "periferie",  significa sviluppare  conoscenza, affilare l'intelletto, rendere fisico l'adattamento,

significa, in definitiva, evolversi, persino biologicamente.

La storia dell'umanita' che ha portato progresso, conoscenza, scoperta, evoluzione in tutti gli ambiti ( dal diritto alla medicina, dalla scienza alla tecnologia),

ha avuto sempre, dietro di se', uomini e comunita', che per una ragione o per l'altra- penso a quella ebraica per la diaspora, od a quella missionaria cattolica per l’evangelizzazione (come quella gesuitica appunto) -  si sono trovati (e si trovano) sulle frontiere.

La frontiera spaventa, interpella l’ ingegno e l’intelletto, richiede  rischi, pretende fatiche, paure da superare, pregiudizi da sconfessare.

Eppure e' li', su quel terreno precario, che si gioca il futuro dell'umanita'

Ed e’ proprio da  li', che si riesce a valutare  la consistenza, la progettualita' di una societa’.

E’ dall’attenzione alle periferie, dalla capacita’ di includere ed includersi sulle frontiere, che si puo’ stabilire il grado di sviluppo positivo di un’individuo, e di una societa’ intera.

Una persona che isola la “frontiera”, cosi’ come una societa’  che la nasconde e la ghettizza, non puo’ che esser pigra, abulica, fiacca.

Una politica che non investe risorse nelle periferie,  una cultura che non ricerca sulle frontiere, e’ fallimentare, perche’ non si proietta al futuro.
Investire sulle frontiere e’ una delle prime e piu’ profonde forme di ricerca, ma richiede tempo, energia, stoicismo e pazienza.
Ma puo’ la politica, con le sue logiche dell’immediato dettate dall’attuale sistema economico, impegnarsi su questo terreno fondamentale?

Certo e’ che se lo facesse, il “rientro” sarebbe “enorme”, probabilmente anche in termini di mero interesse economico.