venerdì 24 novembre 2023

Femminicidi, Rabbia Che Esplode E Società Sfilacciata

Rabbia che esplode, battaglie ideologiche da una parte e dell'altra, ed il solito "piove Governo ladro": il rischio è che la Società- rispetto a casi drammatici di cronaca trasformati in "casus belli" - si sfilacci ancora di più. E che si polarizzino le vedute tra chi - da una parte, vorrebbe “rompere” e “far crollare” un sistema, anche patriarcale, che ha tenuto (in tante parti del mondo lo fa ancora) insieme le società - e chi dall’altra, a fronte di un nuovo che nella prassi non è chiaro, si richiude ancor di più al cambiamento, rigettandolo, non solo non affrancandosi da “vecchi paradigmi”, ma rivendicandoli come gli unici- anche se spesso nell’ipocrisia, nella superficialità, nell’imposizione dei ruoli “patriarcali”- a dare sicurezza in un mondo così incerto e liquido. Succede anche nella Chiesa: quante resistenze e chiusure al nuovo corso “liberatorio” avviato da Papa Francesco. “Cambia il mondo se cambio personalmente”: giusto chiederli, sapendo però che i cambiamenti, personali in primis, sono processi che richiedono tempi lunghi, che saranno sempre un pò incompiuti, e che si generano non solo in movimenti culturali e sociali di liberazione ed emancipazione, ma anche in dinamiche antropologiche. Vedo e sento tanta rabbia in giro, frustrazioni, incapacità a guardarsi dentro per edificare se stessi, edificando così relazioni sane e di crescita: donne arrabbiate con uomini che loro stesse hanno "scelto"...uomini arrabbiati con donne. Ed allora si preferiscono i gatti, i cani, i conigli, accudendoli come fossero bambini. Quante separazioni, quante divisioni, quanti illusori rifugi! In noi stessi prima di tutto. Il rischio, rispetto all’ultimo caso di cronaca di “femminicidio”, è sempre lo stesso, e cioè che si parli per onde emotive, che si cerchino capri espiatori, che si facciano battaglie preconcettuali ed ideologiche, in cui in realtà si nascondono frustrazioni e rabbie più intime e personali. Ma che si facciano queste battaglie culturali e sociali, e politiche di conseguenza! Però che partano e che arrivino nel profondo dell'essere umano e della sua aspirazione al bene: la donna e l'uomo sono spirito oltre che corpo...e sono diversi, complementari credo. Una società senza padri muore, perde “orizzonte”, perde lo sguardo verso la “frontiera”: se manca un padre tutto è difficile, in salita, come peraltro se manca la madre, ma per altri aspetti. Le esperienze personali vissute in Africa, nella loro semplicità (l’Africa è semplice, e proprio per questo anche diretta nel rimandare alla sostanza delle vicende umane e dell’animo umano) mi hanno dato l’opportunità di cogliere alcune dinamiche, che non assolutizzo, ma che mi pare siano "radicate", antropologiche: quando entro in un orfanotrofio i bambini mi assalgono perchè mi vedono e sentono subito come figura di padre (proprio perché gli manca quella figura, più di quella femminile con cui hanno a che fare, attraverso suore ed operatrici). Sempre in Africa, un'amica, cooperante spagnola, che ha adottato come single una bimba etiope (per la legge spagnola è consentito ai singoli ed alle coppie omosessuali di adottare bambini), ebbene tutte le volte in cui andavo a trovarla, la bambina non faceva che abbracciarmi e cercarmi, alla ricerca di una figura maschile, di padre. Viva il cambiamento, un po ' meno gli “strappi” , soprattutto in società già piuttosto affaticate. Giuseppe

domenica 19 novembre 2023

Esperienza Ospedaliera: Cura E Cultura Della Cura.

Dopo una decina di giorni di servizio all'ospedale Valduce di Como, reparto Cardiologia, mi sento di sintetizzare e di condividere qualche impressione, e, senza alcuna pretesa, qualche piccola riflessione. I ricoverati, per quanto vi riesca, nei momenti in cui è possibile, li "curo" soprattutto ascoltando le loro storie, che si "aprono" a me: e non è tanto il dolore che ne viene fuori (qualcuna- sono soprattutto donne, anche se poche- riesce a raccontarsi), quanto piuttosto - lo colgo velocemente- il loro rimando a vite vissute non pienamente, le loro, di tanti rimpianti e, spesso, di "vere" e proprie morti dentro, come epilogo di ferite non integrate, di poca consapevolezza, di attaccamenti a ruoli che ovviamente cadono come bolle di sapone, di relazioni vissute superficialmente. Una donna, A., malata terminale di tumore, ricoverata da una decina di giorni per scompenso cardiaco, che quando mi vede gli occhi le sorridono, mi raccontava dei suoi 50 anni di un matrimonio mortifero, una tomba - è lei che lo ha definito così, una “tomba” che rimane dentro di lei, da cui non si è liberata. Del matrimonio, o meglio del marito, visto la dipartita di quest’ultimo anni fa, si è invece liberata. Nel mio reparto era ricoverato anche un turista americano del Connecticut, vicino NY, lì in ospedale per un infarto che lo ha colpito a Como una settimana fa, ieri è stato dimesso. Gli sono stato "vicino", c’è stata subito empatia verso di lui, visto anche il mio trascorso negli States, rompendo un po' della sua paura e dell'isolamento che naturalmente proverebbe un ospedalizzato in un contesto “alieno”, per cultura, stile di vita, lingua, procedure mediche ed ospedaliere; T. è Cattolico, di avi italiani transitati da Ellis Island (piansi non poco quando la visitai anni fa, “l’isola delle Lacrime” di fronte a Manhattan, dove transitarono, tra fine ottocento e la metà del 900, almeno 12 milioni di migranti provenienti dall’Europa, tra questi non pochi italiani). Quando la figlia è arrivata a trovarlo in ospedale, venendo direttamente ed appositamente dagli Stati Uniti, ha lasciato mance: 20 euro al personale sanitario che incontrava in reparto. Ieri, alle 14, quando uscivo di reparto e lui, lo statunitense, stava per essere dismesso, voleva darmi, ho rifiutato, dieci volte tanto quanto la figlia aveva dato ad altri del personale, come mancia. In cardiologia, tra gli altri, vi è ricoverato un anziano che arriva dalla Valle Intelvi, uomo taciturno, visto poi che fatica ad esprimersi in italiano, che però, da quando ho iniziato a parlare con lui in un ottimo dialetto (che è il mio mother tongue, cioè quella lingua della madre - che è memoria “affettiva” che non si dimentica), ha cominciato a sorridermi, e - per come può- a condividermi un pò della sua storia, le sue paure soprattutto. In ogni caso, tutte narrazioni di un'umanità, oltre che dolorante, spesso incapace di leggere, e quindi di scrivere la propria storia. E se non si legge non si scrive la propria storia ( prima si impara a leggere poi a scrivere), ed allora è come se non si fosse esistiti: un peccato davvero, perché peccato vero è una vita non vissuta in pienezza e profondità. Peccato vero è non aver scritto, quindi vissuto, la propria storia. Ci furono, prima della “Soluzione Finale” tentata dai nazisti, non pochi "olocausti" nella storia umana, tentativi di genocidi: non pochi furono dimenticati (tra tutti quello subito dagli armeni per opera dell’impero ottomano), mentre la Shoah, appunto, rimane nella storia collettiva come sfregio estremo all'umanità tutta, rimane come storia - personale (ne sappiamo molte, cito Anna Frank, Primo Levi, Oskar Schindler) - e collettiva, che va oltre quella dello stesso popolo ebraico che l'ha subita direttamente. Fu possibile scriverne, ed esporle- non solo come letteratura, ma anche come arte, musica, cinema- andandoci dentro, attraversandole quelle storie, quella storia, attraverso riflessioni, studi, impegno e lavoro di tipo umanistico, teologico, culturale, psicologico, religioso. La Memoria, come l’acqua, è vita. (“la Memoria dell’acqua”). La storia, anche la nostra storia, la si scrive se ci “accompagnano”, se vi entriamo in profondità, se la attraversiamo, soprattutto se attraversiamo le ferite profonde che ci definiscono, a volte che ci precedono (quelle che ereditiamo dal contesto storico/sociale/familiare), ferite che- se integrate- liberano energia positiva e di vita, ci fanno risorgere da morte a vita nuova. Scrivere e raccontarsi, attraversando anche valli oscure, proprio come fa il fiume, è portare gocce d’acqua (siamo noi queste gocce) nel mare dell'eternità. È diventare eterni. La Bibbia è storia eterna. Lo sono la storia della Torah e quella del Corano, lo sono Il Tao Te Ching (libro sacro del taoismo) ed Il Tripiṭaka (libro Sacro buddista), lo sono altre opere religiose e non, - letterarie e non- divenute immortali nelle culture occidentali ed orientali, asiatiche, americane, africane. Vorrei concludere tornando alla cura, visto il tema ospedaliero, o meglio alla “cultura della cura” piu’ volte esortata e sollecitata da Papa Francesco entro un concetto ampio, vero, olistico, di dignità fisica, ma anche d’integralità nella sua fondamentale componente psico -relazionale e spirituale che è nell’essere umano: “cura” che corre il rischio di “ridursi” sempre più, in occidente soprattutto, a dei “meri” paradigmi tecnici-sanitari-farmacologici- che in diversi contesti sono già diventati ideologia, che, come tale, inganna e “delude” il cuore dell’uomo, che è invece- nel suo più recondito sacrario- alla ricerca di verità, di un amore autentico ed unico, il solo a donare l’eternità.

A Me, A Te, Al Vento...

A me, a te, intrepido navigatore, solitario camminatore, instancabile pedalatore, che cerchi risposte nell'inquieto vento. Il tuo inquieto cuore risposte non troverà, ma il vento, ne sono certo, le mie domande accogliera'. Accogliera' il mio grido, la mia rabbia, il mio dolore, il mio amore, e di rimando questo mi dirà: che salvi te stesso solo se salvi il mondo, e che salvi il mondo solo se salvi te stesso. E ti salvi, e lo salvi il mondo, se al vento le domande le porrai, se a lui rimarrai aperto, accogliente, gentile, se non rimarrai chiuso in piccole e soffocanti circolarità; e ti salverai, e salverai, se a lui chiederai verità, e delle mezze verità- quelle di un ipocrita benessere, di una ottusa autosufficienza- non ti accontenterai. Oggi ho salvato il mondo, oggi ho salvato me stesso, ho accarezzato l'umanità, la mia, quella del mondo, ed il vento, inquieto e ribelle, non è che lieta armonia al mio cuore. ( foto da Brunate)