domenica 19 novembre 2023

Esperienza Ospedaliera: Cura E Cultura Della Cura.

Dopo una decina di giorni di servizio all'ospedale Valduce di Como, reparto Cardiologia, mi sento di sintetizzare e di condividere qualche impressione, e, senza alcuna pretesa, qualche piccola riflessione. I ricoverati, per quanto vi riesca, nei momenti in cui è possibile, li "curo" soprattutto ascoltando le loro storie, che si "aprono" a me: e non è tanto il dolore che ne viene fuori (qualcuna- sono soprattutto donne, anche se poche- riesce a raccontarsi), quanto piuttosto - lo colgo velocemente- il loro rimando a vite vissute non pienamente, le loro, di tanti rimpianti e, spesso, di "vere" e proprie morti dentro, come epilogo di ferite non integrate, di poca consapevolezza, di attaccamenti a ruoli che ovviamente cadono come bolle di sapone, di relazioni vissute superficialmente. Una donna, A., malata terminale di tumore, ricoverata da una decina di giorni per scompenso cardiaco, che quando mi vede gli occhi le sorridono, mi raccontava dei suoi 50 anni di un matrimonio mortifero, una tomba - è lei che lo ha definito così, una “tomba” che rimane dentro di lei, da cui non si è liberata. Del matrimonio, o meglio del marito, visto la dipartita di quest’ultimo anni fa, si è invece liberata. Nel mio reparto era ricoverato anche un turista americano del Connecticut, vicino NY, lì in ospedale per un infarto che lo ha colpito a Como una settimana fa, ieri è stato dimesso. Gli sono stato "vicino", c’è stata subito empatia verso di lui, visto anche il mio trascorso negli States, rompendo un po' della sua paura e dell'isolamento che naturalmente proverebbe un ospedalizzato in un contesto “alieno”, per cultura, stile di vita, lingua, procedure mediche ed ospedaliere; T. è Cattolico, di avi italiani transitati da Ellis Island (piansi non poco quando la visitai anni fa, “l’isola delle Lacrime” di fronte a Manhattan, dove transitarono, tra fine ottocento e la metà del 900, almeno 12 milioni di migranti provenienti dall’Europa, tra questi non pochi italiani). Quando la figlia è arrivata a trovarlo in ospedale, venendo direttamente ed appositamente dagli Stati Uniti, ha lasciato mance: 20 euro al personale sanitario che incontrava in reparto. Ieri, alle 14, quando uscivo di reparto e lui, lo statunitense, stava per essere dismesso, voleva darmi, ho rifiutato, dieci volte tanto quanto la figlia aveva dato ad altri del personale, come mancia. In cardiologia, tra gli altri, vi è ricoverato un anziano che arriva dalla Valle Intelvi, uomo taciturno, visto poi che fatica ad esprimersi in italiano, che però, da quando ho iniziato a parlare con lui in un ottimo dialetto (che è il mio mother tongue, cioè quella lingua della madre - che è memoria “affettiva” che non si dimentica), ha cominciato a sorridermi, e - per come può- a condividermi un pò della sua storia, le sue paure soprattutto. In ogni caso, tutte narrazioni di un'umanità, oltre che dolorante, spesso incapace di leggere, e quindi di scrivere la propria storia. E se non si legge non si scrive la propria storia ( prima si impara a leggere poi a scrivere), ed allora è come se non si fosse esistiti: un peccato davvero, perché peccato vero è una vita non vissuta in pienezza e profondità. Peccato vero è non aver scritto, quindi vissuto, la propria storia. Ci furono, prima della “Soluzione Finale” tentata dai nazisti, non pochi "olocausti" nella storia umana, tentativi di genocidi: non pochi furono dimenticati (tra tutti quello subito dagli armeni per opera dell’impero ottomano), mentre la Shoah, appunto, rimane nella storia collettiva come sfregio estremo all'umanità tutta, rimane come storia - personale (ne sappiamo molte, cito Anna Frank, Primo Levi, Oskar Schindler) - e collettiva, che va oltre quella dello stesso popolo ebraico che l'ha subita direttamente. Fu possibile scriverne, ed esporle- non solo come letteratura, ma anche come arte, musica, cinema- andandoci dentro, attraversandole quelle storie, quella storia, attraverso riflessioni, studi, impegno e lavoro di tipo umanistico, teologico, culturale, psicologico, religioso. La Memoria, come l’acqua, è vita. (“la Memoria dell’acqua”). La storia, anche la nostra storia, la si scrive se ci “accompagnano”, se vi entriamo in profondità, se la attraversiamo, soprattutto se attraversiamo le ferite profonde che ci definiscono, a volte che ci precedono (quelle che ereditiamo dal contesto storico/sociale/familiare), ferite che- se integrate- liberano energia positiva e di vita, ci fanno risorgere da morte a vita nuova. Scrivere e raccontarsi, attraversando anche valli oscure, proprio come fa il fiume, è portare gocce d’acqua (siamo noi queste gocce) nel mare dell'eternità. È diventare eterni. La Bibbia è storia eterna. Lo sono la storia della Torah e quella del Corano, lo sono Il Tao Te Ching (libro sacro del taoismo) ed Il Tripiṭaka (libro Sacro buddista), lo sono altre opere religiose e non, - letterarie e non- divenute immortali nelle culture occidentali ed orientali, asiatiche, americane, africane. Vorrei concludere tornando alla cura, visto il tema ospedaliero, o meglio alla “cultura della cura” piu’ volte esortata e sollecitata da Papa Francesco entro un concetto ampio, vero, olistico, di dignità fisica, ma anche d’integralità nella sua fondamentale componente psico -relazionale e spirituale che è nell’essere umano: “cura” che corre il rischio di “ridursi” sempre più, in occidente soprattutto, a dei “meri” paradigmi tecnici-sanitari-farmacologici- che in diversi contesti sono già diventati ideologia, che, come tale, inganna e “delude” il cuore dell’uomo, che è invece- nel suo più recondito sacrario- alla ricerca di verità, di un amore autentico ed unico, il solo a donare l’eternità.

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