martedì 26 aprile 2022

Buona Pasqua, Saluti ( Ed Impressioni) Da Nairobi.

Care e cari, vi ricordo sempre con tanto affetto, ed anche con nostalgia di un tempo che, seppur passato, rimane vivo in me, nella passione e nell'amore. Ricordare è portare al cuore. E vi ricordo particolarmente in questo periodo che precede la risurrezione, di vita che vince la morte. Di Pasqua eterna, quella a cui siamo destinati se viviamo nell'amore. Sono a Nairobi da ormai un mese, e mi pare di camminare in un positivo percorso d'inserimento, attraverso la lingua (l'ostico, nella comprensione e nella pronuncia "africanizzata", inglese locale), attraverso l'adattamento al cibo, allo stile di vita, ma soprattutto attraverso relazioni di apertura, di umanità, di spirito, con le persone con cui condivido luoghi e tempi. Le difficoltà, potete immaginare, non mancano, ma la vita è più forte, scorre, e sempre trova la via. A scuola, nel mio corso in un college universitario cattolico, dove gli studenti sono in stragrande maggioranza religiosi in formazione, sono il primo in quanto a risultati, nonostante abbia iniziato per ultimo, ma il livello "qualitativo" è indubbiamente "basso" per chi, come me, proviene dall'Europa occidentale. Peraltro appaio come un "fuori categoria": non più giovanissimo, l'unico occidentale, ed anche tra i pochissimi "bianchi", in compagnia di uno sparuto gruppetto di non africani, tra vietnamiti e peruviani ( Perù e Vietnam, oltre a diversi paesi africani, rappresentano "l'ultima frontiera" nella "ricerca" di vocazioni da parte degli istituti religiosi, ma questa "prassi" diffusa, che pare seguire più il vecchio paradigma dell'occupazione di spazi e di potere che l'avvio di di processi autentici di conversione, è stata stigmatizzata più volte dallo stesso Bergoglio). Le fatiche e la solitudine derivano proprio da ciò, dall'essere "unico", sia in comunità che all'università: l'unico occidentale (in un contesto in cui più o meno implicitamente è vivo un sentimento anti - occidentale, di reminiscenza anti- coloniale...a proposito qui in diversi fanno il “tifo” per Putin), l'unico che proviene da un paese "ricco", l'unico bianco, l'unico non più giovanissimo. E derivano anche dalla fatica dell'"abbassarsi", e non di poco, nello stile di vita, nelle (s)comodità - rischiando " il colpo della strega", ma è altrettanto vero che in questo movimento di "abbassamento", di "essenzialità", anche di Kenosis (svuotamento), c'è la possibilità di ricevere molto, e di elevarsi nello spirito, sempre che ciò avvenga in un contesto non "conformante", che rispetti la propria storia personale, le proprie sensibilità. Sono necessarie, entro certi limiti, gran pazienza, umiltà, benevolenza. Tutto è relazione, tutto è continuo scambio. Ed in mese ho già creato legami di simpatia, condivisione, di rispetto ed ascolto, soprattutto con alcuni confratelli e compagni di corso. Ma non sempre sono facili da vivere le strutture ecclesiastiche, rigide e molto strette, ma in Africa forse necessarie per contenere, disciplinare, anche le grandi energie che caratterizzano i giovani del continente più vitale; anche se ciò non dovrebbe giustificare il clericalismo, il carrierismo, la ricerca dello status, del "ruolo", scenari che paiono molto diffusi nella Chiesa. Insomma, non è facile per un solo europeo in contesti totalmente africani, sia in comunità che all'università: la solitudine, i disagi e le fatiche non sono pochi, tra gli altri, per esempio, i disagi negli spostamenti sui mezzi locali di Nairobi, con i "famigerati" (non godono di buona fama) “matatu” ( termine in kiswahili per indicare bus e furgoni prestati al trasporto pubblico) che prendo per tornare dal college, su cui viaggio sempre come unico bianco occidentale (“Muzungu” in kiswahili). Per i locali è raro vedere un "muzungu" spostarsi sui “matatu”. Ma più di tutto rimane per me cruciale la "questione" delle strutture che vivo, oltretutto essendosi "ritirati" i missionari europei, in stragrande maggioranza rientrati per questioni anagrafiche, senza ricambio di altri europei (rari sono ormai quelli che si orientano ad una vita religiosa, oltretutto missionaria), si assiste ad un deterioramento delle stesse, che peraltro a me paiono "ricche" di formalismo e di programmazione, ma carenti di cura, di affetto, di progettazione che non sia il "si è sempre fatto cosi", di percorsi non uniformanti ( staremo comunque a vedere, la realtà è sempre in movimento, e spesso smentisce le idee e le sensazioni, soprattutto se iniziali). Mi appare chiaro però che l'aspetto che è rimasto intatto sia quello rigido, verticistico...e questo dice molto delle strutture ecclesiastiche, e del fatto, io credo, che in un mondo sempre più “liquido” e con paradigmi di pensiero ( almeno in Occidente) sempre più emancipati e "liberi" (anche se libertà ed emancipazione, senza responsabilità e capacità di condivisione, si trasformano esse stesse in gabbie), e sempre più bisognoso di dinamiche e di comunicazioni affettive - le strutture rigide, piramidali, militaresche, si trovino in una crisi irreversibile ( in questo senso benedetta sia la sinodalità, se veramente si avviassero cammini autentici, oltre gli slogan...). Ma visto da qui, da uno dei più importanti hub africani anche per la Chiesa Cattolica, il cambiamento pare difficile. Le strutture portate dai missionari erano molto rigide ( a volte anche peggio) con chi, tra gli africani, ne voleva fare parte, ed oggi, con gli europei in ritirata, pare si respiri un clima quasi di "rivalsa" nei loro confronti da parte degli stessi africani, anche dentro le stesse realtà ecclesiastiche. Il rischio, per me stesso, di essere un capro espiatorio, agnello sacrificale, è concreto. Tanti sono stati - oltre al bene che certamente le strutture missionarie hanno testimoniato e portato concretamente (ospedali, dispensari, centri educativi, formativi, ricreativi e di recupero, etc) - anche i danni e le ferite provocate. Bisognerebbe avviare, prima di tutto, cammini di dialogo autentico, di fiducia, di comprensione, di riconciliazione e cura delle ferite all'interno degli stessi istituti missionari. Ma non è affatto facile, oltretutto la Chiesa, è inutile nasconderlo, è spesso utilizzata come ascensore sociale ( peraltro questa dinamica non credo sia per forza di cose negativa, anzi...la Chiesa appare come una, se non l'unica, istituzione anche "democratica", soprattutto in paesi e contesti in cui il poter studiare ed il poter avere una certa qualità di vita sono ad appannaggio di quei pochi che appartengono ad una ristretta cerchia di potere, mentre per un giovane, spesso motivato e volenteroso, che entra in un cammino religioso, è concreta la possibilità di studiare ed "avanzare", anche socialmente, pur se proviene da ambienti di estrazioni umili); il punto è che "qualche volta" questo “ascensore sociale” pare venga utilizzato dagli stessi religiosi, per fini "personali", familiari, di clan, di tribù (le logiche di appartenenza sono molto strette e rigide in Africa). Per quel che ho percepito, mi pare però che non pochi africani stiano anche bene dentro strutture rigide...perché le stesse offrono possibilità di sopravvivenza, di una sopravvivenza non certo garantita nei loro contesti. E questa " comodità " non può certo giovare a processi di rinnovamento, piuttosto al contrario, favorendo conservatorismo. In generale, l'impressione iniziale è che manchino coscienza critica e volontà di cambiamento, per cui a prevalere è il "si è sempre fatto così". Mentre gli avanzamenti in qualsiasi ambito sono possibili se il pensiero critico e la spinta rinnovatrice ( lo spirito sempre rinnova) vengono "integrati", non respinti. Papa Francesco pare ancora più lontano visto da dove mi trovo...eppure è proprio in questi contesti che servirebbero vino nuovo in otri nuovi, strutture rinnovate e trasformate - a partire da relazioni autentiche, di cura, di libertà, di condivisione e sinodalità - capaci di trasformazione della Chiesa, e quindi della società tutta; continuo a credere in quella Chiesa, capace di testimoniare amore, cura, autenticità, capace di cambiare i cuori, di trasformare la realtà, anche sociale e politica, a partire dalla testimonianza personale, di umanità prima di tutto, per i più abbandonati, per i più indifesi e marginali. Ma servirebbero trasformazioni " strutturali" non solo singole testimonianze, per quanto importanti ed autentiche. Il rischio è, altrimenti, che persino i santi e gli eroi siano anche utilizzati, e forse persino funzionali ad un certo "sistema" per non cambiare nulla... La Chiesa, vista da qui ancor più oserei dire, dovrebbe essere "demilitarizzata"( in un mondo militarizzato), e "destrutturata" delle sue tante sovrastrutture... altrimenti anche i cammini di pace e di giustizia, e d' integrità del creato, non saranno mai autentici e non porteranno a granché. Una Chiesa da convertire, a partire dalla conversione personale. Vi lascio con queste parole di Leonardo Boff: "I mutamenti necessari per costruire insieme un futuro sostenibile per l’umanità sono enormi, ma non impossibili. Dobbiamo fare come la cellula: essa è in continua interazione con l’ambiente, scambia informazione ed energia per vivere e svilupparsi. Così, ogni persona cosciente è sfidata a fare la sua rivoluzione molecolare, là dove si trova. Poiché siamo tutti inseriti in un sistema integrato, il cambiamento di un elemento coinvolge tutti gli altri elementi del sistema. Perciò ciascuno è importante. Attraverso di esso può passare l’energia della grande svolta, la svolta verso un futuro sostenibile. Tutti siamo ciascuno. Tutti, quindi, contiamo e siamo imprescindibili. Coltivare questa coscienza, tradurla nel quotidiano delle nostre pratiche, ascoltare il richiamo dello spirito che parla nella profondità umana e nel corso dei tempi storici, celebrare con cordialità l’allegria di vivere e di dialogare è già aver fatto la svolta verso il nuovo paradigma, è sentirsi già cittadino della nuova umanità riunita in un unico luogo: nella casa comune, la Terra". PS il clima di Nairobi, che si trova poco sotto l'equatore, ad un'altitudine di 1700 Mt circa, lo trovo meraviglioso, meraviglioso insieme alla frutta tropicale che mangio, ed a certe sensazioni che l'Africa dona: quelle di un'armonia primordiale (anche se un po' attenuata dalla vita caotica di una gra
nde e trafficatissima metropoli, qual'è la capitale keniota appunto), di una pienezza di sensazioni, nell'umanità, con l'umanità, nella vicinanza agli ultimi... Cerco poi di camminare il più possibile, del cibo keniano mi piacciono soprattutto samosa e chapati ( anche se la loro origine è indiana), ed anche, un po' meno, la polenta tipica (ugali). E soprattutto, 2 volte a settimana, mangio spaghetti “scotti” con salsa di pomodoro! E qualche volta ho mangiato anche i caterpillar (larve tostate)... Il cammino si apre camminando, in ogni caso il fine non giustifica mai i mezzi. E la fede e l'affidamento, più che mai necessari qui (a patto che non siano "ciechi", che non "fuggano" dalla realtà), devono trovare però anche una base "ragionevole", ossia nella "ragione". Auguri di una buona Pasqua (con allegati) Giuseppe Mantegazza