lunedì 21 settembre 2020

"La Speranza In Un Campetto (Sbiadito) Di Periferia".




A Palermo, tra il Porto ed il quartiere storico del Borgo Vecchio, un piccolo perimetro di verde resiste all’invasività del grigiore circostante: e' quello del campetto in erba sintetica della parrocchia di S.Lucia, incastonato tra la chiesa ed un casermone popolare, un blocco di cemento di dieci piani dall'improbabile soprannome "Dallas"*.
Da ormai una decina di giorni, saltuariamente, e' il sottoscritto che, regolandone l'accesso (dalle 15.30 alle 19.30 tutti i giorni eccetto la Domenica), stimola la curiosità dei ragazzi che vi giocano, colpiti soprattutto dalla mia parlata con accento del Nord: all'inizio qualcuno pensava fossi di Roma, qualcun'altro di Torino, quando ho rivelato di esser nato a Milano, per molti di loro soprattutto la città dello stadio di San Siro e delle due squadre cugine Inter e Milan, pareva gli si sgranassero gli occhi.
Stupore, il loro, puntualmente ricambiato dal mio: a colpirmi è l’ansia con cui ne attendono l’apertura, la veemenza e l'entusiasmo con cui si infilano nella porticina metallica per accedere al campetto ed iniziare a tirar calci al pallone; farli uscire poi, alla sera, e' sempre impresa che richiede un’estenuante trattativa, in cui entrano in gioco diverse variabili, come i loro umori, qualche volta i miei, il tempo meteorologico, i soliti prevedibili imprevisti "siamo all'ultimo goal di una partita decisiva", che però non è mai l'ultimo, e così via, se potessero, all'infinito.
Attendo paziente e benevolo, comprendendoli: il campetto per molti di loro è l'unico spazio di libertà, di sfogo e di spensieratezza, uno spazio che crea legami ed amicizie, e forse "ricrea" anche la speranza, messa alla prova un po' ovunque in questo tempo allungato di crisi, particolarmente per chi vive in contesti in cui gli spazi condominiali sono compressi, e dove la convivenza è relegata in appartamenti non sempre facili da abitare, soprattutto per chi vive tensioni famigliari.

Mentre li osservavo, mi tornavano alla mente ricordi della mia infanzia e dell'adolescenza, vissute in gran parte in un bel e spazioso appartamento di un palazzone enorme nella semi-periferia di Milano, che sorge all'interno di una vasta area verde, in quei tempi, trent'anni fa, un moderno ed avveniristico parco- giardino condominiale, con veri e propri boschetti, aree di gioco, percorso vita, sentieri e persino tratti di pista ciclabile. Nella città di allora un'unicità, un privilegio ed un’opportunità, il poter vivere in quel contesto: in qualche modo, quel contatto quotidiano con la natura, il poter correre su un prato insieme ai miei coetanei tirando calci al pallone, od ancora da piccolo giocando a guardie e ladri o nascondino, fu determinante per la mia crescita, forse persino salvifico, una fonte di riequilibrio soprattutto nei miei momenti  adolescenziali difficili.
Fu poi altrettanto benefico e salutare, il fatto di abitare in un piano alto, così da riuscire ad ammirare, almeno nelle terse e ventilate giornate invernali, le montagne innevate che si stagliavano all'orizzonte, tra cui il massiccio del Monte Rosa e l'amato Monte Generoso.

 Nei contesti come quello del quartiere storico palermitano del Borgo Vecchio, la natalità è certamente più alta rispetto a quella della media italiana, e le famiglie sono numerose, ma di luoghi di ricreazione nel verde, di giardini e parchetti, neanche l'ombra,  eppure, soprattutto in contesti difficili, dominati dal cemento, dalla povertà economica e dal degrado, più che mai ce ne sarebbe bisogno, soprattutto per i bambini ed i più giovani, per gli anziani. Questione di salute, di benessere per cuore, gambe e polmoni, psiche ed anima. Ed invece, per chi vive in palazzoni come il "Dallas", tranne forse per gli inquilini degli ultimi piani, nemmeno l'orizzonte del mare è più visibile: privati - per via della cementificazione selvaggia, delle alte gru che s'innalzano dal vicino porto, per la stessa posizione sfavorevole verso cui sono rivolti gli appartamenti - anche della vista di un mare che in linea d'aria non dista neppure un chilometro.
Chissà se qualcuno degli autori, tra politici, architetti, funzionari ed affaristi, si sia mai interrogato sul risultato di alcune politiche abitative adottate a partire dalla fine degli anni 60: in questo senso il celebre (soprattutto per le cronache di degrado,  criminalità, cementificazione selvaggia) quartiere ZEN (Zona Espansione Nord) rimane paradigmatico del fallimento di un'idea politica, architettonica ed edilizia, responsabile di aver creato simil-ghetti esteticamente discutibili, sicuramente poco vivibili e molto poco armoniosi e rispettosi dell'ambiente e di quelli che lo abitano. Scelte abitative miopi e fallimentari, ma perseguite e reiterate, visto che lo stesso zen, costruito nel 1969, e' stato replicato ed ampliato (zen due) molti anni dopo, negli anni 80.

Papa Francesco, in un recente incontro con le comunità "Laudato Si" guidate da Carlo Petrini*, ha ricordato quanto sia necessario per ripartire dopo l'emergenza Covid, contemplare la bellezza del creato, e quanto sia altrettanto fondamentale e necessario provare compassione, per madre terra e per l'umanità che la vive. Verrebbe da dire che la compassione, per questi ragazzi che frequentano un campetto di calcetto di una periferia nella periferia d'Italia e d'Europa, e' un sentimento che sorge spontaneo (per quel che mi riguarda accompagnato anche da un po' di commozione),  un sentimento dovuto, che ha a che vedere con la speranza, la speranza di un futuro di opportunità per loro, di un protagonismo, di una partecipazione che li veda non piu' migranti forzati, disoccupati costretti ad espedienti ed illegalità per vivere, ma al contrario costruttori e responsabili di un ambiente più verde ed armonioso, più vivibile e sostenibile, anche economicamente. Lo stesso sentimento risulta un po' meno spontaneo invece per gli architetti, i funzionari pubblici ed i politici che hanno ideato, realizzato e costruito, contesti "soffocati" e "soffocanti" dal grigiore del cemento, come il Dallas, come lo ZEN e molti altri quartieri popolari, ecco per loro il sentimento di compassione non mi pare sia così scontato, così come non lo è per i fautori dei periodici condoni edilizi, per chi intenzionalmente lucra sui poveri, sfruttandoli e "mangiando" su di loro, che forse è l'azione più subdola ed indegna che si possa fare.
Incuranti di tutto ciò i bambini continuano a giocare, a ritrovarsi con gioia ed allegria, sperando, mi confidano, che non arrivi un nuovo lockdown a tenerli lontani dal loro campetto (qui a Palermo i contagi aumentano, e proprio in questi giorni e' stata isolata la missione "Speranza e Carità" di Fratel Biagio Conte). In proposito, mi è stato riferito che diligentemente, e questo è un altro segno di speranza e di testimonianza di responsabilità da parte loro e dei loro genitori, durante il lungo lockdown della primavera scorsa, nessuno dei ragazzi e' stato visto nei paraggi del campetto. 
Non decidiamo dove nascere, l'ambiente ci modifica e ci modella fin da piccoli, e a volte, se degradato, ci rende avvezzi all'incuria, al degrado stesso, alla sfiducia ed alla rabbia, 
ma nei più piccoli, più che altrove, possiamo anche intravedere intensamente ciò che desidera, nel profondo, l'animo umano: relazioni e condivisione, bellezza, armonia, libertà.
Il campetto, a dir la verità, non è un granché, il suo verde e' ormai sbiadito e la sua superficie consumata, però e' integro e ben perimetrato, con le sue righe ancora nitide, e soprattutto e' ancora molto frequentato da bambini ed anche adolescenti, e probabilmente, appunto, conserva ancora tutto il suo fascino, quello della libertà, dell'emozione di correre spensierati e speranzosi: alla ricerca di un goal, di un applauso od un incitamento di un familiare dal balcone, alla ricerca di amicizie, gioia, spensieratezza, di speranza di un domani migliore, che è già l'oggi in un campetto (sbiadito) di periferia.

Giuseppe L. Mantegazza

* I residenti della zona chiamano il palazzo  "Dallas", dall'omonimo famoso serial  degli anni '80, per l'intrecciarsi di piccole storie di criminalità, sesso e droga. 

* https://comunitalaudatosi.org/non-divoriamo-la-terra-ma-restituiamole-dignita-il-discorso-integrale-di-papa-francesco-alle-comunita-laudato-si/

Dall'Enciclica “Laudato Si”:

44. Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.

149. È provato inoltre che l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il 116 sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza. Tuttavia mi preme ribadire che l’amore è più forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo. Questa esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spesso suscita reazioni creative per migliorare un edificio o un quartiere.

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